La Stampa, 16 gennaio 2019
Le confessioni di Langer, guru delle start-up
È probabile che almeno una volta nella vita avremo a che fare con un trattamento medico o un prodotto cosmetico nato dalla mente di Robert Langer, l’ingegnere del Mit di Boston conosciuto come il Thomas Edison dei nostri tempi.
Inserito nell’élite dei sette scienziati più citati nella storia delle pubblicazioni scientifiche, Langer è depositario di oltre mille brevetti biotecnologici e ha contribuito a fondare decine di aziende, alcune delle quali diventate milionarie. Oggi dirige il «Langer Lab» al Massachusetts Institute of Technology, laboratorio in cui sono incubate più di 40 start-up biotech, mentre i suoi brevetti - sottoscritti da 350 società farmaceutiche - contribuiscono ogni giorno a salvare migliaia di vite e a migliorare la salute globale. Ma la strada di Langer verso il successo è stata contrassegnata da anni di fallimenti e porte chiuse in faccia dal mondo accademico e imprenditoriale. «Mi sembrava di vivere in un film di Fellini», ha ricordato lo scienziato, ospite alla Luiss, a Roma.
Tutto ebbe inizio quando, fresco di laurea in ingegneria chimica, rifiutò le offerte di lavoro delle aziende «oil&gas» per dedicarsi al mondo della medicina, dove tutti lo vedevano come un estraneo. Al primo impiego, al Boston Children’s Hospital, Langer mise a punto una tecnica che consentiva di rilasciare farmaci in modo controllato attorno ai tumori, sfruttando le caratteristiche chimiche di alcuni polimeri. Era l’idea che avrebbe cambiato il futuro della farmacologia, ma nessuno all’epoca volle credervi. «Non può funzionare!», «Cosa può saperne un ingegnere di biologia?», «Faresti meglio a trovarti un altro lavoro!», furono alcuni dei commenti. Fu così che l’idea rimase nel cassetto per un decennio, fino a quando Langer e un amico del Mit fondarono una start-up per mettere in pratica quelle idee. Nacque così la Enzytech, con quattro dipendenti, poi diventata Alkermes e oggi quotata a Wall Street.
E fu così che le idee di Langer cominciarono a fare breccia nel mondo farmaceutico, portando alla realizzazione dei primi farmaci a rilascio controllato, oggi impiegati in ogni area, per esempio per la cura dei tumori, della schizofrenia, della degenerazione maculare e anche dei disturbi cardiaci, in quanto inseriti negli stent coronarici. Solo sul fronte dei tumori si stima che 20 milioni di persone nel mondo abbiamo ricevuto trattamenti resi possibili dalle invenzioni dell’Edison del biotech. «Se l’idea è buona, è importante non arrendersi. La pazienza è un elemento fondamentale, specialmente nel biotech, dove le innovazioni possono richiedere anni prima di trovare spazio».
Tuttavia è necessaria anche una forte base scientifica. «Il punto di partenza di una buona innovazione è la sua pubblicazione in una prestigiosa rivista scientifica, come “Nature” o “Science”», prosegue Langer. E questi ingredienti sono alla base del successo di molti suoi lavori, che spaziano dalla medicina rigenerativa all’ingegneria tissutale. Solo due anni fa la Food&Drug Administration ha approvato una tecnica, ideata proprio da Langer, per ricreare una pelle artificiale in caso di grandi ustioni. Sulla stessa linea le aziende cosmetiche stanno facendo a gara per sfruttare la potenzialità di una sua pelle «indossabile», in grado di restituire un viso giovane e far sparire le rughe, se applicata a intervalli regolari.
Ma il team di Langer si sta spingendo oltre, verso la creazione di tessuti artificiali come cartilagini, ossa e connessioni nervose. Così sette pazienti colpiti da paralisi alle gambe sono stati arruolati in un trial che mira a restituire loro le funzionalità perdute. «Dobbiamo imparare a pensare in grande. Se si ha tenacia e si lavora duro, sono poche le cose realmente impossibili». Questo «mantra» l’ha portato anche in Africa a collaborare con la Fondazione Bill&Melinda Gates. Qui - secondo l’Oms - milioni di bambini muoiono ogni anno di tetano perché le madri non effettuano il secondo richiamo del vaccino. L’idea di Langer è usare particolari microsfere per rilasciare nel corpo delle donne le dosi di vaccino a distanza di mesi o anni, così da rendere inutile il richiamo. Qualcuno ha già bollato questa idea come visionaria, ma, forse, è soltanto questione di tempo. E pazienza.