Il Messaggero, 16 gennaio 2019
Intervista ad Achille Lauro
Lui si sente il principe di Danimarca. E Barabba. E anche un po’ Gesù Cristo, visto che nella sua autobiografia, in uscita oggi per Rizzoli, Sono io Amleto, scrive: «Sento oggi in me quel misto di vecchio e nuovo che rappresentava lui e che forse dipende dall’essere profondamente collegati con il proprio tempo».
Il nome d’arte, Achille Lauro, richiama l’armatore napoletano, «un personaggio stravagante e surreale»; e anche con il transatlantico qualcosa in comune ce l’ha, visto che Lauro De Marinis, classe 1990, principe romano (di Vigne Nuove) della trap e samba-trap, sta salpando verso il grande oceano del pop. Anzi, del rock’n’roll. Questo il genere scelto per il brano che porterà al prossimo Sanremo. Il titolo è Rolls Royce, il pezzo l’ha scritto lui, con l’intervento di Davide Petrella e con la direzione artistica dell’inseparabile socio Boss Doms, più i produttori Frenetic e Orange.
«Non sarà una canzone d’amore, né un brano trap, ma un nuovo esperimento vicino agli anni 70-80. Bello frizzante. Io penso che piaccia sia ai pischelli più piccoli che alle persone più grandi». All’Ariston come ospite sognerebbe Vasco, ma anche un attore «per spostare un po’», come l’anno scorso Ornella Vanoni con Alessandro Preziosi.
Ma non è tutto. In uscita c’è anche il documentario Achille Lauro No Face 1. In primavera arriverà il disco di inediti, sotto l’egida di Sony, e il tour, che parte il 10 maggio da Napoli. Meno di tre anni fa dormiva in macchina e tagliava cocaina in uno scantinato di periferia. Ieri durante la conferenza stampa c’è chi lo ha paragonato a Iggy Pop, mentre lui, circondato da molti imperatori della discografia italiana, raccontava con lucido candore che «sta in fissa per i Beatles» e che se parla sempre riferendosi a noi non è mica plurale majestatis, ma è «perché mi sento di essere parte di una squadra. Quindi la canzone non è mai mia, è di varie persone. Erano 3 anni che facevamo tutto da soli quindi mi piace parlare a nome di tutti. Io credo che la musica si faccia non a tavolino per il singolo dell’estate, ma con le persone brave, gli amici, e ognuno mette un po’ di magia. Quando lavoriamo prendiamo due mesi l’anno una villa, facciamo passare cento persone, musicisti e facciamo musica senza farci influenzare dalle mode».
Fuma solo marijuana come ha detto?
«Ogni tanto, anche poco. La droga, soprattutto la cocaina, è un problema in tutti gli ambienti, probabilmente i giovani non si rendono conto di che veleno è. Io sì. I ragazzi ci vedono come un esempio e sicuramente noi come artisti abbiamo delle responsabilità, ma non possiamo diventare capri espiatori. Altrimenti dovremmo mettere al bando gente come Amy Winehouse o Jim Morrison. Raccontiamo quello che succede. La droga esiste, nelle periferie come nel mondo dello spettacolo. Ma le persone capiscono il messaggio che mandiamo».
Lei dice che i rapper sono delle pippe. Chi è il peggiore?
«In Italia ce li abbiamo. Ma nessun nome, mai».
Dice di ascoltare pop melodico: quale?
«Visto che ho appena collaborato con Anna Tatangelo, canto la sua Ragazza di periferia (la intona, ndr). Ma ascolto molti classici della canzone italiana. Vasco, Berté».
Canterebbe Non sono una signora?
«No, non posso! La Berté no».
Il paragone con Cristo non è eccessivo?
«Nei miei dischi c’è l’iconografia cristiana. Il cristianesimo è una realtà ben radicata in Italia, pescare da là, anche a livello artistico di visione, di riferimenti è figo».
Mica solo il Vangelo: Cenerentola, la Bella e la Bestia, Aladdin e Jasmin cita mezzo mondo Disney nelle sue canzoni. Qual è il suo preferito?
«Il re Leone, quanti pianti quando eravamo piccoli».
Perché la fa piangere?
«Ha le sue sfumature drammatiche».
Le sue quali sono?
«Quelle che non racconto perché sono mie».
Ha avuto un’infanzia difficile: cosa eviterà in futuro?
«Non diventare una persona povera di sapere».
Quante sono le fatiche di Ercole?
«Sette. Ci ho fatto una rima, sa».
Per questo gliel’ho chiesto. Sarebbero dodici.
«Vabbè, licenza poetica».
Quant’è grande il suo ego?
«Gigante».
La sua più grande trasgressione?
«Andare a Sanremo».
Non le fa paura?
«No. Ho fatto tanti concerti, 150».
Perché tutti quelli che fanno trap parlano sempre della mamma?
«Perché la mamma è un punto di riferimento, quando torni a casa è la persona a cui raccontare le cose. E a casa a un certo punto ci torni sempre».
Sua madre che dice di lei?
«Ancora non crede a quello che è successo. Ma oggi è stata nominata amministratore delegato della mia società».