Il Messaggero, 16 gennaio 2019
Quelli che soffrono di accumulo patologico
Non aprite quella porta. Il titolo di un film del mistero anni Settanta ben si presta a descrivere la reazione di chi si trova a entrare nella casa di un accumulatore compulsivo. Di colui o colei che riempie casa di ogni oggetto senza mai buttare via nulla. Fino a non poter più utilizzare il letto, il divano o lo stesso lavandino in bagno.
Un’abitudine, o meglio una malattia (la disposofobia), che sembra essere sempre più diffusa. Parliamo del 4-6% della popolazione ma i numeri sono per difetto. Parliamo di persone che, con il tempo, si barricano nei loro appartamenti riempiti da oggetti molto simili tra loro (scatole di cartone, confezioni vuote di pasta) o assolutamente differenti. Una sorta di discarica affettiva dalla quale è impossibile separarsene. Fino ad esserne soffocati.
I GRISSINI
Ognuno ha la sua storia e ognuno ha una famiglia incapace di entrare in quelle stanze e nella vita del paziente. Fino al giorno in cui si forza quella porta. In molte regioni stanno nascendo, all’interno dei servizi di igiene mentale, dei gruppi di specialisti per la cura e l’assistenza. A Milano l’Agenzia di tutela della Salute è stato uno dei primi a trattare, con medici e tecnici della prevenzione, casi che riguardano il problema dell’accumulo compulsivo. «Un uomo di 80 anni viveva in una casa pieni di pacchi di pasta, grissini, crackers e diversi tipi farinacei – racconta Giovanni Armando Costa, tecnico del servizio milanese. Una signora invece, accumulava flaconi di vuoti. Usciva al mattino per andare a rovistare nei cassonetti della plastica e si portava in casa bidoni, bottiglie di bevande e di detersivi liquidi. Un classico è l’accumulatore di libri, riviste e giornali. Una sessantenne aveva riempito la casa di scatole di cartone. Era costretta a camminare per casa attraverso dei piccolissimi passaggi fra muri di carta. Si muoveva in questi cunicoli creati con le scatole che ormai avevano raggiunto il soffitto». Il caso di accumulo estremo è quello di un uomo che si era ridotto a vivere nel corridoio del palazzo perché la sua abitazione era carica di oggetti. Dormiva sul pianerottolo e anche lì aveva già iniziato ad accumulare.
La disposofobia colpisce tra il 4 e il 6% della popolazione e, contrariamente ad alcuni diffusi pregiudizi, non riguarda solo persone ai margini. Il problema è democratico, interessa chi vive in quartieri popolari come in zone centrali e residenziali. Miseri alloggi o appartamenti di lusso. Basti dire che Andy Warhol era affetto da questa patologia. «L’accumulo compulsivo spiega Costa – può essere legato a oggetti inanimati oppure ad animali. Il percorso che ha portato i pazienti alla patologia è costellato di separazioni e di lutti. Di solitudine nella maggior parte dei casi. Si ritrovano con la difficoltà di gestire una casa che prima era affidata a genitori o compagni». Si potrebbe pensare che chi accumula abiti in piccoli spazi e lo faccia per mantenere delle risorse per vivere. In realtà chi soffre di questa patologia riempie lo spazio a prescindere dalla sua grandezza o dal numero di case o magazzini che possiede. Più spazio hanno più ne occupano. Alla base del disturbo c’è l’incapacità di categorizzare gli oggetti, ovvero di discernere fra ciò che ha valore e ciò che non ce l’ha. Secondo gli esperti gli accumulatori compulsivi creano delle relazioni con gli oggetti piuttosto che con le persone.
L’ABBANDONO
L’oggetto ti ascolta, non ribatte, non reclama. È un compagno di vita perfetto che, soprattutto, non ti abbandona. Purtroppo, però, l’incanto si rompe quando entrano in gioco familiari e vicini di casa. Infatti il mondo del disposofobico è un luogo chiuso e vietato a chi, secondo il loro pensiero, potrebbe rubare i loro preziosi compagni. Le finestre delle loro case sono sempre chiuse con tapparelle abbassate perché nessuno possa guardare all’interno e la soglia di casa è un confine invalicabile per gli estranei.
«Ai nostri uffici rivela Costa – arrivano le segnalazioni dei cittadini o da parte di altri Enti che riportano le proteste dei condomini che abitano vicino all’accumulatore seriale. Dalle case escono odori molesti, infiltrazioni di liquami, sussistono pericoli di incendio. Abbiamo assistito a invasioni di insetti che passavano attraverso i muri. Le condizioni igieniche sono così precarie che ci sono rischi di trasmissione di malattie infettive per chi abita vicino».
LE RICADUTE
Guarire dalla disposofobia (informazioni dal sito disposofobia.org e dal numero verde dell’Associazione nazionale Mondoconsumatori 800 600 890)è un percorso lungo e spesso costellato da ricadute. Le possibili cure devono essere prescritte dallo specialista che abbinerà a sedute di psicoterapia una terapia farmacologica per ridurre i sintomi ossessivi, depressivi e ansiosi.