Libero, 15 gennaio 2019
Battisti confessa, ma solo in un romanzo
Questa pagina, per esempio: «Un’uniforme spuntò alle nostre spalle, istantaneamente estrassi la pistola e le esplosi contro tutto il caricatore... Il mio difensore occhialuto si era dedicato anima e corpo a spiegarmi che io non ero un delinquente in galera, bensì un proletario in rivolta sequestrato dal regime. Non avevo nessuna difficoltà a crederlo, anzi mi chiedevo come mai non ci avessi pensato prima». Poi, ancora, pagina 23: «Le opere di Gramsci facevano parte delle bibbie comuniste che avrei dovuto leggere a tutti i costi... I suoi mattoni naturalmente non li avevo mai letti, però quando c’era da fare casino in sostegno del Vietnam o da spaccare la testa a qualche fascista meritevole, ero sempre stato tra i più combattivi». Che cos’è, il brogliaccio delle confessioni di Cesare Battisti? Quelle che fece negli interrogatori? Quelle che molti ora attendono dopo 37 anni di latitanza? Quasi: sono estratti dal libro Battisti “L’ultimo sparo, un delinquente comune nella guerriglia urbana” (DeriveApprodi 1998) che è un romanzo autobiografico nel quale il protagonista, a parte sporadici episodi di fantasia, tu guarda, ripercorre tutte le gesta per cui è stato condannato e questo nello stesso gruppo armato, con le stesse rapine e ammazzamenti di vittime similari, negli stessi luoghi, con stessa evasione dal carcere, la stessa fuga e latitanza. Basta leggere, anche se pochi l’hanno fatto.
IL «VISSUTO LUDICO»
E l’obiezione par già di sentirla: è solo un romanzo, sarebbe come prendersela con Dostoevskij per “Delitto e castigo”. Dostoevskij però infliggeva delitti e castighi solo in letteratura, quella di Battisti è autobiografia nello spirito ma soprattutto nei fatti. Lo dimostra, tra molto altro, anche la nota introduttiva di Roberto Silvi: «Sono stato io a insistere con Cesare per scrivere un racconto a quattro mani che avesse come riferimento la nostra comune militanza. Se abbiano fatto una banda armata, mi dicevo, potremmo pur fare un romanzo assieme». Ma prego. Nell’attesa ecco il romanzo e, a pagina 25, la militanza: «A chiunque me ne parlasse, di militanza, indicavo la banca più vicina dicendo: i soldi sono lì, vai a prenderli se sei un uomo». Forse gli uomini, per Battisti, sono anche quelli che scappano per 37 anni. Interessante anche l’introduzione del romanzo curata da Valerio Evangelisti, romanziere anche lui (per Mondadori) e candidato alle Europee del 2009 nella Lista Anticapitalista, mentre nel 2018 ha votato Potere al popolo. Per Battisti, Evangelisti a suo tempo divenne l’amico ideale, visto che aveva anche una casa a Puerto Escondido, in Messico, che è proprio dove Battisti fuggì nel 1981 e dove si mise in testa di fare, anziché l’imputato, il romanziere. Scriveva Evangelisti: «Battisti non è affatto pentito: della storia non ci si pente... Quando chi nel 1977 era democristiano, o addirittura fascista, rivendica un percorso analogo a quello del Movimento, mi viene da sorridere, perché il suo vissuto ludico non può essere stato simile al nostro». Forse il vissuto ludico è quello di pagina 114: «Sdraiato su un prato del Parco Sempione, tracannavo una bottiglia di Biancosarti». Il coraggio non gli mancava. Aveva anche proficui contatti ideologici con altre cellule anti-sistema, come spiega a pagina 24: «Appena fuori dal carcere ero andato direttamente nello scantinato dove si riunivano quelli di Lotta Continua... si potevano fumare gli spinelli in compagnia di ragazze che non facevano tante storie». Pagina 38: «Sono i detonatori, e questa notte i carabinieri si sveglieranno con queste supposte nel culo». E questa è letteratura. E pure questa, a pagina 61: «Il direttore stava tirando su l’antenna della macchina... Gli piantai la pistola in faccia… Incoraggiato dalle grida della moglie, iniziò a porre una maggiore resistenza… la donna assisteva all’esecuzione del marito… al terzo colpo, il direttore fece un giro completo su se stesso e non si mosse più». Pagina 69: «Lo sbirro era passato al tu autoritario. Un buon clandestino a quel punto avrebbe dovuto sparargli in faccia e basta». Letteratura, come Dostoevskij: delitti senza castigo, perché nel nostro ordinamento essere poliziotti ed essere borghesi non è ancora punito dalla legge, e tantomeno con la pena di morte.
DELIRI COLLETTIVI
Eccole le confessioni di Battisti: in letteratura, per ora. Molto istruttive anche per quei tanti che a sentir riparlare di terrorismo hanno un principio di colica: non per cedimento al perdonismo, ma per stanchezza fisica, estenuazione, voglia e tentazione di credere che gli anni di piombo fossero e siano davvero lontani. Lo erano: in fondo bastava prendere un aereo. Lo erano, però anche troppo: capitava di apprendere, ancora nell’autunno 2007, che il settimanale francese Nouvel Observateur aveva chiesto ai suoi lettori che cosa rappresentassero per loro le Brigate rosse; la risposta del 68 per cento di essi era stata questa: «Degli eroi». E lì, dopo un attimo di allibimento, capivi perché francesi e brasiliani avevano difeso i Cesare Battisti e perché le Fanny Ardant avevano mitizzano i Renato Curcio, per dire. Capivi che non c’era neanche da prendersela tanto con loro, perché la loro ignoranza era e resta lo strascico di propagande e deliri collettivi che neanche dalle nostre parti siamo riusciti – tutti – a rielaborare, a capire, anche semplicemente a conoscere.