Il Messaggero, 15 gennaio 2019
Le portinerie di Roma, una storia da cinema
Chiedete ai portieri. La vita di un condominio passa tutta per quella guardiola incastonata ai piedi di un palazzo. Fortino per il custode-vedetta. Dieci, cento, mille storie di un quotidiano fatto di amicizie e pettegolezzi, raccomandate e pacchi, visite e giochi, drammi e amori, litigate e rancori. L’architettura d’autore le ha rese icone di uno sviluppo borghese, il cinema le ha immortalate, la letteratura ne ha fatto teatri di intrighi, il tempo ne ha cambiato forza e urgenza. Uno spaccato di vita romana. Il boom negli anni Cinquanta del secolo scorso, e il graduale saluto ai portieri negli ultimi anni (una spesa superflua?). Simbolo di un’epoca, insomma, che ora è al centro di un progetto di documentazione fotografica, storica e sociale dal titolo Portinerie Romane, iniziato due anni fa con un monitoraggio-censimento di un centinaio di portinerie, condotto da Giulia Carioti e Tommaso Sacconi e presentato al Centro Studi Giorgio Muratore. «L’indagine ha privilegiato quelle portinerie in cui ancora è attivo un portiere – racconta Andrea Bentivegna curatore della presentazione del lavoro – Il progetto infatti non si limita a ritrarre solo la guardiola, ma anche ad ascoltare le storie e gli aneddoti del portiere stesso». Un viaggio che ha toccato vari quartieri della Capitale, dalla Balduina al Trieste-Salario, dai Parioli al Delle Vittorie, da San Giovanni all’Aventino passando per l’Esquilino. Ne è nata una mostra fotografica consultabile anche sul sito Internet personale del fotografo Tommaso Sacconi. «Naturalmente il progetto è ancora in corso, con l’obiettivo di farne un vero e proprio libro e un documentario», spiegano. Di guardiole ce ne sono di tanti tipi. Gli architetti (anche archistar) si sono esercitati in infinite declinazioni: «Ne troviamo di tipologie diverse – avverte Bentivegna – da quelle minimaliste, con un tavolo nell’atrio, a quelle monumentali, dalle grandi vetrate simili ad acquari a piccole cabine che ricordano la plancia di un aereo, fino alla finestrella che incornicia il portiere quasi si trattasse di un mezzo busto televisivo».
VETRATE E SALOTTINIC’è la vetrata in stile modernista nel condominio di via Tevere 20, e l’acquario ideato tra il 1947 e il 50 da Luigi Moretti per la Palazzina Girasole di viale Bruno Buozzi. C’è l’oblò minimale che fa capolino lungo il muro circolare dell’ingresso di via Gomenizza 50 su idea di Venturino Venturi, e la finestra scorrevole di via San Crescenziano nel palazzetto progettato nel 1952 da Amedeo Luccichenti e Vincenzo Monaco. E il salottino-ufficio con giochi di vetrate progettato da Mario Ridolfi e Wolfgang Frankl per la Palazzina Zaccardi di Via de Rossi 12. I film, è indubbio, hanno aiutato Sacconi e Carioti, speciali guide alla memoria delle portinerie e dei portieri romani, dalle Notti di Cabiria di Fellini a Borotalco di Verdone, dalla Terrazza di Scola, a Febbre da Cavallo di Steno, dalla Banda degli Onesti di Mastrocinque, a Fantozzi di Salce. «Un’invenzione speculativa, quella della portineria, ma non solo: anche un’architettura affascinante simbolo di un’epoca – commenta Bentivegna – In fondo, la portineria è l’elemento irrinunciabile di una palazzina, al pari del predicato verbale per una frase». Basta entrare nella Palazzina Giammarusti di viale Bruno Buozzi per rendersene conto, con la portineria che schiude le sue porte impreziosite da tende. O la saletta razionalista incastonata all’ingresso dell’edificio di Ugo Luccichenti in via de Rossi, risalente agli anni Trenta. «Se per descrivere l’Italia del Boom non si può non parlare della 500 – conclude Bentivegna – per Roma non si può prescindere dalla palazzina e farlo scrutando la città attraverso una guardiola è un modo, magari non scientifico, ma senz’altro intrigante».