Corriere della Sera, 15 gennaio 2019
Dottoressa Giò, la sublimazione del talk di Barbara d’Urso
Sono anni che l’Italia s’interroga sulla Dottoressa Giò: che fine ha fatto? Perché non torna? Esiste l’ostetricia senza la dottoressa Giò? La dottoressa Giò è tornata ed è come se non fosse mai andata via, perché questa fiction è la prosecuzione del talk con altre armi.
Da questo punto di vista, l’esperimento è molto interessante: è come se Barbara d’Urso sentisse il bisogno di mettere in bella copia e sublimare tutti i temi che quotidianamente tratta nel daytime, a cominciare dalle donne vittime di violenze.
La sceneggiatura della terza edizione della Dottoressa Giò contiene tutti i temi che Barbara tratta a Pomeriggio 5 (cronaca nera, soprusi sulle donne, battaglie civili, ruolo del giornalismo…) con un significativo deragliamento di senso.
La prima vittima è lei, che è stata sospesa dal suo lavoro, accusata di inadempienza su una sua paziente, e poi riabilitata dal tribunale. Nel frattempo il suo posto è stato occupato da un uomo (il primario Zampelli, interpretato da Marco Bonini), ma Giò non demorde e combatte per creare all’interno dell’ospedale un Centro antiviolenza per le donne.
L’ospedale vuol investire nella robotica? Giò è convinta che nessun robot possa sostituire l’intuizione umana perché «dietro ogni malattia c’è una storia». Barbara (potentissima donna di tv) assume il ruolo di vittima sacrificale per potersi elevare a «levatrice della parola».
Grazie a Giò, Barbara ci fa sapere che il suo talk giornaliero non è chiacchiera ma un esercizio di maieutica, aiuta i suoi interlocutori a giungere alla verità, semplicemente soccorrendoli a partorirla. Un colpo di genio! Tutto il resto – recitazione, battute, persino la regia di Antonello Grimaldi, quello di Caos calmo con Nanni Moretti – non conta. Canale 5 è ormai una guerra di occupazione di spazi fra due donne, Barbara e Maria. Che non si devono amare troppo.