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 2019  gennaio 15 Martedì calendario

Anche i maschi possono piangere

Se quando pensate all’idea di maschio vi immaginate Rambo che si fa strada con machete e mitragliatore, dovete rivedere il vostro immaginario sull’argomento. La mascolinità ha preso altre strade, stando alle nuove linee-guida dell’Apa, l’Associazione degli psichiatri americani, che rielabora l’approccio con l’uomo del XXI secolo. Il nuovo paradigma suggerisce che è in forte crisi e che gli specialisti hanno di fronte pazienti fragili, esseri sempre più insicuri in una società in cui essere maschio sembra, a volte, una colpa.
Ma c’è davvero bisogno di dettagliate linee-guida? La risposta è un secco sì, stando a Ryon McDermott, psicologo dell’Università del Sud Alabama, che ha contribuito al documento. «Gli uomini sono in difficoltà - sintetizza -. Hanno meno probabilità di laurearsi e maggiori probabilità di suicidarsi». Sia da ragazzi sia da adulti sono sovra-rappresentati in un’enorme varietà di disturbi, psicologici e sociali: maggiori difficoltà di apprendimento scolastico e problemi comportamentali, come fenomeni di bullismo, sospensioni scolastiche, liti. Poi, diventati adulti, maggiore incidenza di crimini violenti e nel numero di carcerati.
Per tanti le aspettative culturali legate all’idea di mascolinità sono diventate troppo rigide. La società - dal cinema alla letteratura fino alla quotidianità - ha creato un’ideale con caratteristiche ben definite: anti-femminile, di successo, che rifiuta di apparire debole, ma è, anzi, pronto all’avventura, al rischio e alla violenza. Ed è per questo che gli psicologi corrono al riparo, creando nuovi standard di trattamento, come era già stato fatto, nel recente passato, per le donne, le persone «Lgbtq» e altri gruppi sociali.
Parte del problema sembra essere legata alla mascolinità stessa, fondata sull’idea di una totale indipendenza e sul rifiuto di essere aiutati. È una cultura orientata, già da ragazzi, a minimizzare i problemi e che contribuisce a creare adulti meno disposti a farsi curare, a cominciare dai disturbi mentali. Ma i pregiudizi di genere si riflettono anche nella terapia, con un impatto sulle diagnosi e sui trattamenti. Sebbene, rispetto alle donne, la tendenza al suicidio sia quattro volte maggiore, negli uomini è meno probabile una diagnosi di «disturbi internalizzanti», come depressione, ansia o esclusione sociale, dal momento che queste sindromi non sono conformi al tradizionale stereotipo di genere della sfera emotiva.
Più screening e più dieta
Il fenomeno esplode, ma c’è la presa di coscienza di una realtà identificata con chiarezza solo di recente. Già all’inizio degli Anni 90 James O’Neil - uno dei fondatori della Società per lo Studio della Psicologia del Maschio e della Mascolinità - spiegava il «conflitto del ruolo di genere» maschile come un problema derivato dall’adesione ai «ruoli rigidi, sessisti o restrittivi, appresi tramite la pressione sociale». O’Neil sottolinea come la discordanza si rifletta in quattro aspetti: la sproporzionata enfasi nella competizione, il disagio nel rivelare le emozioni, l’imbarazzo nell’esprimere alcuni comportamenti con persone dello stesso sesso e, infine, il conflitto tra lavoro e relazioni famigliari.
Cosa propone quindi l’Associazione? Dieci linee-guida: gli psicologi devono approcciarsi all’uomo, nelle sue fasce d’età, considerando che la mascolinità è costruita su norme sociali e culturali precise. Un ragazzo di una grande città è diverso da un coetaneo che vive in un paesino in campagna, così come un avvocato lo è da un magazziniere. Inoltre, questi molteplici aspetti della loro identità sociale possono cambiare nel corso della vita e dell’ambiente. Ancora: grande importanza ha la promozione di comportamenti per migliorare le interazioni tra maschi, così come un maggiore coinvolgimento dei padri nelle dinamiche familiari: giocare di più con i figli e non pensare solo al sostentamento familiare. L’uomo non è più il solo a lavorare.
Le nuove indicazioni, non a caso, sono mirate anche a ridurre la disparità tra i sessi: si deve aumentare il livello di educazione e allo stesso tempo ridurre i comportamenti a rischio, stimolare pratiche positive, come screening medici e diete equilibrate. E poi si devono promuovere iniziative e servizi «su misura», tendendo conto del fatto che le stesse istituzioni sono ancora lontane da un cambio di mentalità.
Oltre gli stereotipi
Sebbene l’intenzione dell’Apa fosse quella di aiutare gli psicologi a comprendere meglio i maschi e non a cambiare le idee su di loro, si è generata - com’era inevitabile - una forte discussione tra favorevoli e contrari alla nuova visione, più attenta e consapevole, dell’uomo. «Ora abbiamo la possibilità - conclude McDermott - di capirlo come un individuo multidimensionale: ci sono, infatti, molti modi di dimostrare la propria mascolinità».
Nel frattempo, se avete bisogno di una nuova immagine maschile, provate con Alvy Singer, protagonista del film «Io e Annie», geniale pellicola prodotta da Woody Allen nel 1977. In tempi non sospetti.