La Stampa, 15 gennaio 2019
Se Londra presta i girasoli di Van Gogh
Prestare o non prestare? È questo uno dei grandi problemi che affliggono i custodi del Bello, padroni di casa dei 100 musei più importanti del mondo, dal Louvre al Metropolitan: autorizzare o meno «l’espianto», seppur a tempo determinato, di un capolavoro che fa parte del Dna della loro collezione? È maggiore il danno per la delusione dei visitatori che non troveranno l’opera temporaneamente assente o il ritorno di immagine presso il pubblico che la apprezzerà in trasferta?
Una cosa è certa. Da oggi niente sarà più come prima visto che la National Gallery di Londra, museo tanto internazionale quanto geloso delle proprie opere, ha annunciato che per la prima volta in 200 anni spedirà all’estero ben 60 dei suoi tesori fra cui i super-iconici Girasoli di Van Gogh. Il viaggio ha come destinazione i Giochi Olimpici del 2020 che si terranno a Tokyo, o meglio, le mostre collegate all’evento. Al di là del numero e della qualità dei capolavori di cui il Museo di Trafalgar Square ha deciso di privarsi - il più cospicuo di sempre - si tratta di un’assenza piuttosto lunga: circa otto mesi. Più che un prestito, una tournée. A decidere di rompere il tabù della conservazione «in situ» delle opere d’arte, il direttore anglo-italiano Gabriele Finaldi: «Presenteremo in Giappone una superba selezione di opere che va dal Rinascimento ai primi del ventesimo secolo – spiega - e racconterà a Tokyo e Osaka la storia della National Gallery».
Decisione coraggiosa che segue l’addirittura temerario via libera - stavolta annunciato dal ministro della Cultura francese Françoise Nyssen - che riguarda il via libera a uscire dal Louvre e girare il mondo per il dipinto più famoso e inamovibile del mondo: la Gioconda.
Se la Francia si è limitata all’annuncio, nel cuore di Londra è già pronta la lista - top secret per ora, Van Gogh a parte - delle opere che voleranno presto Oltreoceano: si parla di «San Giorgio e il Drago» di Paolo Uccello e il «Cartone di Sant’Anna» di Leonardo. E i londinesi, anche su Twitter e Instagram, si stanno dividendo tra «favorevoli all’espatrio» e «contrarissimi all’esproprio». I più colti di quest’ultima fazione citano Goethe e si chiedono: «E dopo... resterà solo il danno».
L’accoppiata eccellente «in fuga» (Van Gogh più Mona Lisa) sta facendo discutere anche gli amministratori italiani del Bello. Perché mentre i Girasoli più famosi del mondo sono già pronti per il check-in e Monna Lisa ha ricevuto il passaporto per l’intero pianeta, invocar la sacra immobilità di alcuni capolavori rischia di apparire per certi versi miope se non antistorico. Conoscendo la posizione sull’argomento di due fra i più stimati direttori stranieri assoldati da musei nostrani, Eike Schmidt e James Bradburne (rispettivamente a capo degli Uffizi e di Brera), sarà ben difficile vedere i furgoni blindati partire da Firenze e Milano alla volta del mondo.
Anzi, per quanto riguarda Schmidt le sue più recenti dichiarazioni in merito apparivano più marmoree del David di Michelangelo: «I nostri capolavori devono essere protetti e tutelati con ogni mezzo: anche perché molti di questi sono diventati identitari: rappresentano gli Uffizi, Firenze e l’Italia, e anche solo per questo non sarebbe giusto, per nessuna ragione, mandarli altrove». Chissà se, dopo la tournée della National Gallery, accetterà di condividere la Venere di Botticelli non solo sui social.