la Repubblica, 15 gennaio 2019
Il dossier sui latitanti d’oro
Per uno come Alessio Casimirri, che si fa fotografare dopo una battuta di pesca – un triste macho, brandisce le sue prede con lo sguardo truce – ci sono quelli che vorrebbero essere morti, o almeno presunti morti.
Sparire, ecco, come è riuscito a fare uno come Franco Coda, dichiarato morto dallo Stato nel 2009 su richiesta della famiglia che aveva da risolvere una questione di eredità. Manca il cadavere, però, e nel suo vecchio giro di Prima Linea qualcuno lo colloca vivo e molto vegeto a Cuba. Vivo o morto, allora? E Maurizio Baldasseroni, un altro milanese aspirante terrorista di Prima Linea, uno con il fucile facile (tre morti in via Adige, era il 1978, lui era ubriaco). Anche per lui richiesta di dichiarazione di morte presunta, poi bloccata in extremis dal parente di una delle vittime. L’uomo è in Perù, probabilmente, e ci vive dal 1978, perché i compagni di allora lo aiutarono a scappare subito dopo i fatti. In fondo, bastava un documento falso, raggiungere la Spagna e da lì attraversare l’oceano, non era poi difficile.
Così, nell’elenco dei terroristi latitanti – una cinquantina – ci sono i” sudamericani” e ci sono i” francesi”, vicinissimi eppure irraggiungibili, ancora favoriti da quella che venne definita come” dottrina Mitterand”, ovvero non estradizione verso Paesi «il cui sistema giudiziario non corrisponda all’idea che Parigi ha delle libertà», così la pensava l’allora presidente, criticando le leggi speciali adottate in Italia e di fatto offrendo rifugio a centinaia di condannati, anche per fatti di sangue. Durerà in eterno, questa protezione? L’Italia si sta muovendo, l’onda del caso Battisti ha dato impulso a ricognizioni e nuovi contatti, ci vorrà tempo. A Parigi peraltro vive Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni – come Adriano Sofri – per l’omicidio di Luigi Calabresi, e ci viveva stabilmente fin dagli anni Novanta, salvo poi tornare in Italia per il processo, e poi rifugiarsi definitivamente in Francia per evitare l’esecuzione definitiva della condanna. Ma per uno famoso come Pietrostefani c’è anche l’oscuro Paolo Ceriani Sebregondi, di nascita nobiluomo, poi aderente alla lotta armata e quindi brigatista e assassino di Carmine De Rosa, responsabile della sorveglianza alla Fiat di Cassino, oltre che del giudice Calvosa e degli agenti della scorta Pagliei e Rossi, nella strage di Patrica, in Lazio. Che ha fatto in questi anni? Ha lavorato in una scuola, diventando anche vicepreside, dimenticando l’Italia e le vecchie storie, i vecchi ergastoli.
In Francia c’è anche Ermenegildo Marinelli, ex Movimento comunista rivoluzionario, poi imprenditore a Vincennes, infine scomparso dai radar, non se ne hanno notizie recenti. E Sergio Tornaghi, brigatista della colonna Walter Alasia, condannato all’ergastolo per l’uccisione del direttore del Policlinico di Milano Luigi Marangoni e del maresciallo degli agenti di custodia Francesco Di Cataldo. E c’è Massimo Carfora, area Prima Linea, già condannato all’ergastolo, fuggito dal carcere di Piacenza, anche lui oggi fa l’imprenditore ( settore editoria, fatturato del 2016: un milione e 600mila euro), si è fatto una famiglia eccetera. E c’è lo” svizzero": Alvaro Lojacono Baragiola, brigatista, condannato per la strage di via Fani, intercettato a Lugano nel 1988, arrestato ma poi scarcerato, infine beccato su una spiaggia in Corsica, quindi Francia, perciò non estradabile. Da lui si arriva a Casimirri, quello che nessuno è mai riuscito a prendere, l’unico del sequestro Moro a non aver mai fatto un giorno di galera. Sei ergastoli, eppure se la ride, nel suo bar di Managua, La cueva del Buzo. È cittadino nicaraguense per via di un matrimonio, e perché mai Daniel Ortega dovrebbe rispedirlo in Italia, nonostante le pressioni delle autorità italiane. Che hanno inutilmente cercato di portare in Italia anche Vittorio Spadavecchia, ex Nar, amico di Carminati, stabile a Londra dagli anni Ottanta, irraggiungibile. Infine il giapponese Hagen Roi, che è Delfo Zorzi. Entrato e uscito – ora lo è definitivamente – dai processi sulle stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia. Imprenditore nel settore import – export, vive più o meno sereno «dopo 30 anni di odissea giudiziaria, di persecuzione». Ha sempre negato e negato, ma ha anche scelto il Paese giusto, per condurre la sua battaglia giudiziaria: in Giappone il reato di strage si estingue in 15 anni.