15 gennaio 2019
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Biografia di Marilyn Horne
Marilyn Horne, nata a Bradford (Pennsylvania, Stati Uniti) il 16 gennaio 1934 (85 anni). Mezzosoprano. Contralto. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, quattro Grammy Award, la National Medal of Arts (consegnatale da George Bush nel 1992) e il premio Viotti d’oro (1995) • Nacque in una «modesta famiglia, pazza per la musica. […] Il padre Bentz, tenore di scarse fortune, puntò tutto sulle due figlie, le quali, contro ogni regola, impararono i vocalizzi prima dell’alfabeto. Fu lui il primo maestro della Horne, come il signor García lo fu della Malibran» (Clara Grifoni). «Trasferitasi con la famiglia in California, inizia giovanissima lo studio del canto, prima con Hazel Bittenbender e Edna Luce, poi con William Vennard alla University of Southern California. Il debutto operistico ha luogo a Los Angeles nel 1954 con la Guild Opera Company diretta da Carl Ebert; in quell’occasione la Horne interpreta dapprima i ruoli di Hänsel in Hänsel e Gretel di Humperdinck e di Hata nella Sposa venduta di Smetana, poi quello della protagonista della rossiniana Cenerentola. Nello stesso periodo è chiamata a doppiare per i brani cantati l’attrice Dorothy Dandridge nel film di Otto Preminger Carmen Jones, rifacimento in chiave di musical della Carmen di Bizet. Particolare importanza, in questa prima fase della sua carriera, la Horne ha sempre attribuito al periodo di studio con Lotte Lehmann, a Santa Barbara» (Riccardo Domenichini). «La California […] l’ha per molti versi formata. Quando lei viveva a Los Angeles, la città ospitava profughi europei di primo rango. “Ho conosciuto la Lehmann quando avevo diciassette anni, ma frequentavo anche lo scrittore Lion Feuchtwanger, i registi Carl Ebert e Otto Preminger, compositori di colonne sonore come Franz Waxman e Alfred Newman. A vent’anni lavoravo con Stravinskij, che mi insegnava pazientemente la giusta pronuncia delle sue canzoni russe – a me, che del russo non sapevo una parola! Arrossisco oggi quando penso che sono stata a cena con Stravinskij e Aldous Huxley e che ho persino osato parlare!”» (Harvey Sachs). «Al 1956 risale la sua prima esibizione in Italia: un concerto con musiche di Monteverdi e Schütz nella basilica di San Marco a Venezia, sotto la direzione di Robert Craft. Nell’autunno del ’56 si trasferisce in Europa, prima a Vienna, dove studia repertorio per un anno, poi nella città tedesca di Gelsenkirchen, un centro industriale della Ruhr, dove entra a far parte della compagnia del locale teatro d’opera. Affronta così moltissimi titoli del grande repertorio, soprattutto nel registro di soprano: Mimì, Minnie, Tatiana, Amelia in Simon Boccanegra, Marie in Wozzeck. Negli Stati Uniti canta Carmen e La fille du régiment, in Italia è Giocasta in Oedipus Rex per la Rai e Gerhilde in Die Walküre al San Carlo di Napoli» (Domenichini). «Fra un viaggio e l’altro trovò modo d’iscriversi alla Università di Los Angeles (Filosofia e musica), dove conobbe uno straordinario giovanotto di pelle bruna, anche lui appassionato musicista: Henry Lewis, che sarebbe divenuto il primo direttore negro d’una orchestra di bianchi della storia d’America. Si fidanzarono in occasione d’una Cenerentola diretta da lui e si sposarono nel ’60, nonostante l’opposizione della famiglia di lei. Ma le ostilità cessarono due settimane dopo le nozze. […] “Gli debbo quello che sono. Il mio primo successo, nel Wozzeck, all’Opera di S. Francisco, fu dovuto più alla mia abilità di attrice che a quella di cantante. Henry mi ha aiutata a trarre il massimo dalla voce, pure andando dentro al personaggio. Grazie a lui […] ebbi la mia consacrazione ufficiale a New York, l’unica che abbia peso in America”» (Grifoni). «Il 21 febbraio 1961, una rappresentazione in forma di concerto di Beatrice di Tenda all’American Opera Society segna il suo debutto a New York e l’incontro con Joan Sutherland. Inizia così una collaborazione continuativa a fianco della coppia Sutherland-Bonynge, che porta la Horne ad affrontare in maniera sempre più approfondita il repertorio belcantistico, stabilizzandosi nel registro vocale del mezzosoprano di agilità. In questa direzione, gli anni Sessanta sono segnati da una serie di debutti nel nome di Rossini: Arsace (1964, alla Carnegie Hall), Isabella (1968, Roma, Rai), Rosina (1968, Maggio Musicale Fiorentino), ancora Arsace ma in forma scenica (1969, Londra, Drury Lane, con Joan Sutherland e Richard Bonynge), fino allo storico Neocle nell’Assedio di Corinto alla Scala nell’aprile 1969, diretta da Thomas Schippers. A questo punto della carriera ha già al suo attivo anche un’intensa attività discografica e, oltre a numerosi recital, ha partecipato alla realizzazione di straordinarie registrazioni di Norma e Semiramide al fianco di Joan Sutherland. Nel 1969 incide, diretta da Georg Solti, Orfeo ed Euridice di Gluck. Nel marzo 1970 debutta al Metropolitan come Adalgisa in Norma, ancora a fianco di Joan Sutherland e di Carlo Bergonzi. Nello stesso anno canta Les Troyens e Le prophète alla Rai, e a Roma, assieme a Renata Scotto, Luciano Pavarotti e Nicolaj Ghiaurov, il Requiem di Verdi, diretta da Claudio Abbado. L’esplorazione di un repertorio per l’epoca del tutto desueto continua con due tappe fondamentali: nel 1974 Tancredi (portato nel ’77 all’Opera di Roma) e nel 1978 Orlando furioso di Vivaldi, messo in scena al Teatro Filarmonico di Verona. A questi, si aggiungono nuovi ruoli nel repertorio più tradizionale: Eboli a New York, Amneris a New York e Salisburgo. Nell’estate 1979 è ancora una volta Arsace in Semiramide ad Aix-en-Provence, in un fortunatissimo allestimento di Pier Luigi Pizzi che segna il debutto nel ruolo del titolo di Montserrat Caballé e la rivelazione di Samuel Ramey. Gli anni Ottanta vedono la nascita di uno speciale rapporto col Teatro La Fenice di Venezia: dopo il debutto con Tancredi, vi tornerà come Isabella, Orlando e Rinaldo nelle eponime opere di Händel e con numerosi concerti. Al Rossini Opera Festival di Pesaro dona altri due debutti, Cassandra in Ermione e Falliero in Bianca e Falliero, oltre a un trionfale concerto all’aperto e a uno Stabat Mater di Rossini sotto la direzione di Giuseppe Sinopoli. Nel 1984 è protagonista di un avvenimento storico: il Rinaldo che la vede ancora una volta nel ruolo del titolo è la prima opera di Händel rappresentata al Metropolitan. Nel teatro newyorchese chiude gradatamente la sua attività operistica cantando in Semiramide, The Ghosts of Versailles di Corigliano, Falstaff e Pelléas et Mélisande. Prima del ritiro definitivo, prosegue la sua attività nei concerti» (Domenichini). Sopravvissuta a un cancro al pancreas diagnosticatole nel 2005, la Horne continua a svolgere attività di insegnamento, principalmente a New York, dove risiede da decenni. «Un entusiastico ed entusiasmante gala ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno alla Zankel Hall, all’interno dell’edificio della Carnegie Hall. Come istituzione, la Carnegie sponsorizza ogni gennaio un minifestival in onore della Nostra, durante il quale lei tiene delle master classes che sono un intrattenimento sopraffino per chiunque ami la musica, il canto, le lingue e l’intelligenza» (Gina Guandalini) • «Affrontando sempre più spesso e con maggior successo il repertorio rossiniano, […] la Horne mise in luce le sue autentiche qualità: il velluto di un timbro scuro, pastoso, affascinante nei suoni gravi (ottenuti con una abilissima tecnica poitrinée, non lesiva dell’omogeneità dei registri), lo strabiliante virtuosismo per tutti i moduli belcantistici (trilli stretti, ribattute di gola, vocalizzazione rapida e vertiginosa, roulades, messe di voce, canto di sbalzo), ottenuto grazie a una personalissima ingolatura dei suoni centrali e al perfetto uso dei fiati, distribuiti con il dosaggio esatto, nota per nota. Inoltre la Horne può sfoggiare una baldanza, un’incisività nei lunghi recitativi, soprattutto nei ruoli en travesti (Arsace, Calbo, Malcom, Falliero, Neocle, Tancredi, Orlando di Vivaldi e Händel, Rinaldo), da far pensare ai formidabili castrati di due secoli fa (almeno a giudicare dalle cronache osannanti riferite ai cantori evirati). Tra le interpretazioni memorabili, […] il Tancredi romano del 1978, l’incredibile Orlando furioso di Vivaldi al Filarmonico di Verona nello stesso anno (in cui la cantante americana diede un inarrivabile saggio di canto di sbalzo nell’aria d’entrata “Nel profondo cieco mondo”), la Semiramide ad Aix-en-Provence nel 1980, il Rinaldo di Händel a Houston nel 1975 (con una vertiginosa aria, “Or la tromba in suon festante”, in gara con la tromba solista: roba da Farinelli), l’Orlando di Händel a Venezia nel 1985» (Enrico Stinchelli) • Una figlia, Angela, dal direttore d’orchestra Henry Lewis (1932-1996), con cui fu sposata dal 1960 al 1979 • Tra parenti e amici è da sempre soprannominata «Jackie» • Così, nel 1968, la descriveva Clara Grifoni: «Viene considerata da molti la Callas americana, ma non finirà su un panfilo di lusso. Anzitutto, spera di poter cantare fino ai sessant’anni. In secondo luogo, è l’antidiva per eccellenza, benché provenga dal Paese che inventò il divismo. Niente di artefatto e di snobistico. Neanche un’ombra di nevrosi, con quell’umore a corrente alternata, rosa e nero, caldo e freddo, che caratterizza la gente di teatro. Marilyn Horne, famoso mezzosoprano, ha la soffice compattezza d’un cheesecake, una torta al formaggio, come dicono dalle sue parti. Scoppia di salute, ed è assolutamente splendida. Una pelle di gardenia, due occhi un po’ obliqui e frangiati di nero, che lanciano barbagli di turchinetto da dietro gli occhiali, le spalle larghe, i fianchi rotondi e una vitalità che dà fuori come una bottiglia di gazzosa. Le piace mangiare. […] In questo campo, non riuscirà a emulare la Callas, che, con volontà ferrea, si sottopose a diete feroci per togliersi mezzo quintale di dosso e farsi chiamare “la tigre” dagli americani; ma compromise anche irrimediabilmente la sua statura vocale, per dirla in gergo tecnico. Marilyn Home vuol conservare intatta la sua voce opulenta, che spazia agilmente su tre ottave; però pagherebbe chissà cosa per fregiarsi d’un superlativo o d’un soprannome (vera Legion d’onore della celebrità). Purtroppo, dalla penna dei critici, che pure non le lesinano gl’incensi e la definiscono prodigiosa, fenomenale, “above all”, sopra tutte, non è mai scappato quel “divina” o quel “pantera” che danno l’avvio alle leggende. Così questa giovane antidiva è senza leggende» • «Dobbiamo tutti […] riconoscenza […] a Marilyn Horne, il soprano che ha ripristinato il Rossini serio reintroducendo le parti di contralto en travesti. Se lei pensa che ancora alla fine degli anni Sessanta un direttore come Abbado ha sentito il bisogno di riscrivere I Capuleti e i Montecchi perché non gli suonava – come si dice a Roma – che Romeo fosse un mezzosoprano e ha fatto cantare la parte da un tenore, si rende conto della rivoluzione apportata dalla Horne. […] La forza della Horne è stata di avere imposto il rispetto dei ruoli» (Rodolfo Celletti a Corrado Augias). «Di Rossini è considerata, e a ragione, la più grande interprete del nostro tempo. Altre ne sono emerse, nella generazione successiva alla sua, ma è a lei che si deve il rilancio delle norme belcantistiche dei tempi da Händel a Vivaldi a Rossini. […] Ciò che distingue la Horne dalla maggior parte degli altri cantanti è la volontà di approfondire lo stile di un’epoca, di un autore, l’essenza di un personaggio. È l’essere musicista oltre che cantante, attenta alla ricostruzione filologica di ogni pezzo che esegue» (Landa Ketoff). «Il maestro James Levine opina che la voce e la tecnica vocale della Horne dovevano essere quasi uguali a quelle della celeberrima Isabella Colbran, musa e poi moglie di Rossini, tanto quei ruoli sembravano fatti apposta per lei. “In concerto cantavo anche la "scena dell’immolazione" del Crepuscolo degli dèi di Wagner – dice –, ma ti giuro che “Una voce poco fa” del Barbiere era molto più difficile”» (Sachs) • «Come è arrivata a cantare Rossini? La risposta è lunga, articolata; ricorda quand’era ragazzina, prendeva lezione da Lily Pons e interpretava Bach e Händel. Poi conobbe Cenerentola: “C’erano audizioni al teatro di San Francisco, per quel ruolo. Sentivo il disco e dicevo: ‘Ma io la posso cantare’. Studiai 48 ore, e ottenni la parte. […] Bisogna avere la voce adatta, la tecnica, il sentimento”» (Ornella Rota).