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 2019  gennaio 14 Lunedì calendario

«Basta un anello e sentiremo il tatto altrui»

Una delle più grandi e promettenti tendenze hi-tech odierne è rappresentata dalle Wearable Technologies, i dispositivi elettronici indossabili e disponibili per quasi ogni parte del corpo. Sport, salute, rieducazione, istruzione: la logica che li accomuna è la registrazione costante di dati, il Tracking, dai passi fatti alla qualità del sonno ai livelli di stress. Il mercato dei device indossabili nel 2019 dovrebbe toccare i 50 miliardi di dollari, dato confermato al Consumer Electronics Show il CES di Las Vegas che si è concluso venerdì. Uno dei prodotti di maggior successo presentati alla fiera, è stato un semplice anello prodotto dalla startup italiana WEART, un anello che, primo al mondo, trasmette la sensazione del tatto da una persona all’altra. È un passo rivoluzionario, perché dalla registrazione dei dati corporei per una maggiore e aggiornata conoscenza delle proprie condizioni e dal mondo dei videogame, è possibile intervenire nella comunicazione del proprio stato emotivo, delle sensazioni fisiche. La pelle è il nostro organo più grande, e il tatto è il senso di cui la tecnologia, nonostante le sperimentazioni tra realtà virtuale o aumentata, si è occupata di meno. Dopo la digitalizzazione di audio e video è l’era del tatto: per trasmettere per esempio la sensazione di una carezza a chi non è con noi. Ne abbiamo parlato con Domenico Prattichizzo, che di quest’invenzione, sviluppata da WEART in collaborazione con e-Novia, è l’autore.
Prima di parlare dell’anello, può spiegarci il perché del successo delle tecnologie indossabili?
«L’interesse per questa tecnologia aumenta perché viviamo in un mondo ad alta mobilità. Si parla sempre più di smartworking e ognuno ha bisogno di integrarsi con strumenti che prima erano fissi e disponibili soltanto a casa o in un ufficio. Pensi alle casse stereo. Una volta per ascoltare musica si doveva restare a casa, ora si può ascoltare musica in ogni istante e luogo. L’indossabilità permette di allargare i confini di tempo e spazio: è libertà. E in quest’ambito, un aspetto era stato trascurato: il tatto. Noi del SIRSLab, di Siena, siamo stati i primi ad avere sviluppato uno strumento per questo settore».
Come ci siete arrivati?
«Il problema era come stimolare la sensazione tattile in modo indossabile, interagire con il tatto superando i vincoli per esempio dei videogiochi che danno sì un ritorno di forza, però necessitano di un desktop, una posizione fissa o hanno il limite dell’ingombro costituito dalle maschere tipo Oculus. La nostra ricerca, partita nel 2013, si è basata sulla meccatronica di precisione e conoscenza della robotica. Cercavo però una strada diversa ad alto rischio ma, se funziona, anche ad alto guadagno. Ho abbandonato perciò lo schema conosciuto ma limitante di joystick, per quello innovativo di anello o ditale meccatronico, dotato di motori interni che stimolano dito e mano».
Quali sensazioni trasmette l’anello?
«Uno dei suoi vantaggi, il primo dispositivo indossabile per il tatto, è che lascia libero il polpastrello così che possa interagire con gli oggetti poi aumentati sensorialmente dall’anello stesso. Questo registra e riproduce a distanza con la tecnologia più avanzata al mondo le tre sensazioni principali del tatto: la pressione, per capire la materia che stiamo toccando, per esempio la sua ruvidezza o meno, la vibrazione che percepiamo quando tocchiamo qualcosa e il calore. È un po’ come il sistema RGB delle immagini per il tatto».
A che punto è il progetto? 
«La tecnologia è avanti, le sensazioni sono molto realistiche. L’abbiamo capito dalle espressioni di stupore di quanti l’hanno indossato a Las Vegas. Dobbiamo passare alla fase della produzione in massa e per questa servono adeguati finanziamenti».
Quali possono essere sviluppi e applicazioni future?
«Oltre a rivoluzionare la comunicazione tattile interpersonale in questa intervista potremmo percepire la nostra stretta di mano; una moglie riuscirebbe a far sentire l’abbraccio alla figlia al padre lontano un dispositivo poco ingombrante può essere utilizzato nei videogame, nelle applicazioni di realtà virtuale e ancora di più in quella aumentata. Partendo dallo schema con un microfono tattile che registra la sensazione e un riproduttore che riproduce localmente ciò che il primo soggetto sta toccando, si può passare a una fase in cui l’anello registra, le sensazioni sono digitalizzate e trasmesse, oppure archiviate e poi riprodotte quando si vuole. Questo cambia molte cose. Con l’anello posso ricevere le sensazioni soltanto del punto che l’altro sta toccando. Se voglio cogliere la sensazione che prova la mano intera, dovrei, al momento, dotarla di un guanto che pesa quasi un chilo. La sfida si chiama portabilità».
Oltre a comunicazione, gaming, realtà virtuale e aumentata, in quali altri ambiti sono fondamentali le ricerche sul tatto?
«Pensi al caso di una centrale nucleare come Fukushima, non si va di persona a chiudere una valvola: si manda un robot comandato a distanza, ma perché succeda, ho bisogno di ricevere un feedback tattile dal robot. Altri utilizzi possono nascere da problemi di scala, se la mano umana è troppo piccola o grande, rispetto le necessità, in campo spaziale e medico. In questo settore, è una ricerca promettente per i malati di Parkinson, per chi ha sofferto un ictus, per quanti hanno un arto paretico a seguito di un incidente. Sono temi oggetto di studio nel centro SIRSLab di Siena».
L’anello può stravolgere la comunicazione nei social network?
«Ogni volta che si modifica l’interfaccia di comunicazione, si evolve anche il modo di comunicare. Aggiungere un layer, un livello emotivo creato dal tatto, cambierebbe molte cose. E noi intendiamo occuparci non soltanto di interfacce hardware, ma anche di sistemi operativi e software».