Corriere della Sera, 14 gennaio 2019
Il super ingegnere di Google. «Così trovo le risposte per voi»
Se avete fatto una ricerca su Google, oggi, le vostre domande hanno avuto risposta grazie (anche) al suo lavoro. Pandu Nayak è uno dei pochissimi (una dozzina, si stima) a fregiarsi del titolo di Google Fellow: una categoria di ingegneri che il New Yorker definisce, semplicemente, come quella «dei migliori al mondo nel rispettivo campo». Ed è l’uomo che si occupa proprio del motore di ricerca: il cuore di Mountain View. Un cuore misterioso: nessuno ha idea, nel dettaglio, di come funzioni. Nessuno tranne Nayak, e pochissimi altri. Nel suo tempo libero, spiega la biografia diffusa dalla società, questo esperto di intelligenza artificiale «insegna a Stanford». In realtà, spiega nel corso dell’intervista, trova il tempo per leggere, badare alla famiglia e «meditare: un’ora al giorno». Inizia a spiegare come funzioni il motore di ricerca così: «Ha presente l’indice di un libro?»
Presente, sì.
«Ecco: più o meno, è uguale. Con due differenze notevoli. Il primo: un libro di 300 pagine magari ha un indice di 3. Noi abbiamo a che fare con migliaia di miliardi di pagine web in costante evoluzione: se lo si stampasse, coprirebbe 12 viaggi di andata e ritorno per la Luna. Il secondo è che le combinazioni di parole usate sono infinite: ogni giorno il 15% delle ricerche è del tutto inedito. Sono domande mai poste prima».
Come si fa?
«Grazie ad algoritmi che sanno come mettere in ordine di rilevanza i risultati in base a fattori come la posizione delle parole, i link tra diverse pagine, la freschezza delle informazioni, il luogo dove si effettua la ricerca».
Ma se il motore funziona bene, qual è il vostro ruolo?
«Nel solo 2017 sono state fatte 2.453 modifiche agli algoritmi: 6 al giorno. E prima di dare il via a ogni cambiamento occorre il nulla osta da gruppi diversi di persone».
Una valigetta nucleare.
«Più o meno».
Trump vi accusa di truccare i risultati per danneggiarlo.
«Dubito di poterlo convincere, ma si sbaglia: lo dimostrano fior di studi. La verità è che non sappiamo nulla delle preferenze politiche di un utente o del contenuto di un sito».
La percezione comune è che Google sappia tutto di noi...
«Non è così. C’è davvero poca personalizzazione nei risultati della ricerca. E la ragione è che le persone cercano risposte specifiche, non personalizzate. Il problema che chi fa una ricerca vuole risolvere non è influenzato dalla personalizzazione».
Quello della disinformazione è un problema, per voi?
«Da almeno due anni. Per risolverlo non ci siamo arrogati il diritto di stabilire quel che è vero o no con un algoritmo, ma abbiamo dato maggiore rilevanza a pagine con più autorevolezza».
La dimensione globale vi pone di fronte a decisioni delicate, quando si parla di disinformazione. Nel 2010 avevate deciso di lasciare la Cina; di recente, le voci su un piano per rientrarvi hanno suscitato polemiche interne. Come agirete?
«Alla base dell’azione di Google ci sono diversi valori. Il primo è quello di incoraggiare l’accesso alle informazioni. A tutti: non solo a chi vive in Occidente. Certo, operiamo in Paesi che hanno regole diverse. Ma il punto nodale per noi resta lo stesso: rendere accessibili informazioni in tutto il mondo».
Sempre più persone fanno a Google vere domande: ponendo su di voi l’onere della verità della «risposta».
«Ci sono situazioni nelle quali la risposta corretta è una sola: e la forniamo, semplicemente. In altri casi, dobbiamo fare in modo che l’utente entri in contatto con diverse prospettive su un’informazione».
Semplice su uno schermo, meno su dispositivi vocali.
«Troveremo il modo migliore per farlo anche lì, è decisivo».
Qual è il futuro dei motori di ricerca, visto da Google?
«Non faccio il futurologo, ma ci sono almeno due aspetti esaltanti. Le ricerche vocali aumentano enormemente la possibilità che persone con basso livello di istruzione possano accedere alle informazioni. E l’intelligenza artificiale ha aumentato l’accuratezza di traduzioni immediate: leggere testi in altre lingue sarà possibile a tutti».
Sull’intelligenza artificiale, la concorrenza di altri giganti, a partire da Amazon, è serrata. Il dinosauro che campeggia a Mountain View è una specie di memento?
«Guardi, ci sono un sacco di aziende che stanno facendo cose strepitose. Ma la competizione spinge tutti a migliorare. È un momento straordinario per fare ciò che facciamo: anche per questo».