Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 14 Lunedì calendario

Vidmar, il cuoco al Polo Nord che coltiva basilico e rucola

Fuori ci sono venti gradi sotto zero, ed è sempre buio, ma è proprio in giorni come questi che Benjamin Vidmar lavora a pieno ritmo. Mancano poche settimane all’inizio dell’alta stagione, quando i primi turisti cominceranno ad arrivare a Longyearbean, uno degli insediamenti umani più a Nord del mondo, nell’arcipelago norvegese delle Svalbard, per vivere un’esperienza artica. E le cucine dei dieci alberghi che hanno aperto in quello che ancora pochi anni fa era uno sperduto avamposto minerario, al 78° grado di latitudine Nord, frequentato tutt’al più da scienziati ed esploratori, hanno cominciato a inviare i loro ordini. Servono radicchio, rucola, basilico, peperoncini, aneto, coriandolo, pomodorini e anche qualche legume: e Benjamin, Ben per tutti, con i suoi due figli più grandi, Amir e Alif, è ormai impegnato tutto il giorno nella sua serra a piantare semi, innaffiare piantine, spostare vasi e cassette. Tra un paio di settimane cominceranno a esserci i primi raccolti.
La sua Polar Permaculture è probabilmente l’azienda agricola più vicina al Polo Nord del pianeta. E la si può trovare facilmente, sull’unica strada dell’isola, che dal piccolo museo di Longyearbean che ricostruisce la tragedia di Roald Amundsen – il grande esploratore che partì da qui nel 1928 per un viaggio senza ritorno nel tentativo di salvare l’ammiraglio Umberto Nobile scomparso tra i ghiacci con il suo dirigibile – si addentra nell’interno. La serra di Ben assomiglia a un grande igloo di plastica, costantemente illuminato da una luce rosa che, nella notte polare, lo rende ben riconoscibile anche a chilometri di distanza. All’interno, tra mucchi di cassette accatastate in pile verticali, il termometro segna zero gradi, mentre in una tenda più piccola, riscaldata da una stufetta e riservata alle coltivazioni più sensibili, si sfiorano i 10 gradi: eppure tutti qui dentro sono a mezze maniche.
«Sono arrivato nel 2007 come cuoco su una nave da crociera, perché mi avevano proposto di passare un’estate alle Svalbard, dopo che già avevo fatto una stagione in Antartide», racconta Ben, che ha 40 anni e viene da Cleveland, Ohio. Lo chef, con una passione per il cibo ereditata da un parente italiano, come tiene a precisare, si però è fatto subito conoscere, e in poco tempo il direttore del più grande albergo dell’isola, il Radisson, gli ha offerto un impiego. Ben ha portato così a Longyearbean la moglie e i quattro figli, integrandosi in questa comunità popolata da 2 mila esseri umani e quasi il doppio di orsi, e abituandosi a vivere al buio tra ottobre e febbraio, e con la luce perenne nel resto dell’anno. E nel 2015 ha avuto l’intuizione di lanciarsi in quest’avventura. 
«La mia idea era di avviare una produzione di cibo fresco in un posto in cui viene importato tutto», continua. «Alle Svalbard tutto quello che mangiamo arriva in aereo o su nave dalla Norvegia. Ho dovuto importare anche il terreno, visto che qui ci sono solo rocce. E poi ho impiegato più di un anno per convincere le autorità a far entrare i vermi con cui produco i miei fertilizzanti». Per motivi sanitari nell’arcipelago non può entrare nessun animale vivente.
Il sogno di Ben sarebbe quello di realizzare un modello di economia circolare, sfruttando gli scarti vegetali per produrre biogas con cui riscaldare le sue coltivazioni. Ma per ora è un’utopia, la sua serra produce solo pochi quintali di insalatine ed erbette fresche. I rifiuti però sono una realtà. E con il decollo del turismo – l’anno scorso sulle Svalbard si sono contate 120 mila presenze – sono diventati una montagna: 30 tonnellate di spazzatura, da rispedire in Norvegia via cargo.