Corriere della Sera, 14 gennaio 2019
Ue-Italia, Fubini difende il Corriere
Alcuni senatori del Movimento 5 Stelle venerdì hanno presentato un’interrogazione al premier Giuseppe Conte, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Vito Crimi, che riguarda il «Corriere della Sera». I senatori di M5S – fra loro Primo Di Nicola, Elio Lannutti e Daniele Pesco – chiedono se quelle che loro presentano come «le reiterate e inesatte informazioni propalate dal “Corriere” a firma Fubini non abbiano negativamente influenzato i mercati, favorendo gli speculatori che in quei giorni scommettevano sulla destabilizzazione dell’Italia». Ad avviso di questi senatori potrebbe esservi «aggiotaggio e manipolazione dei mercati».
In una nota di ieri, Lannutti mette in discussione tre articoli. Di uno (del 21 novembre) la citazione presentata dal senatore come testuale risulta diversa dal testo originale del «Corriere», dunque appare difficile prenderla in considerazione fino in fondo. Ne restano due: un servizio del 1 e uno del 7 novembre. Il primo occupa il titolo principale del «Corriere» di quel giorno: «Deficit, pronta la procedura Ue. La decisione attesa il 21 novembre». A parere dei senatori M5S questa notizia sarebbe stata «falsa» perché il 19 dicembre, 50 giorni dopo, la Commissione Ue ha deciso alla fine dei conti di non attivare la procedura contro l’Italia.
Cosa stava accadendo? Il 16 ottobre il governo aveva presentato a Bruxelles una legge di Bilancio 2019 con un obiettivo di deficit, in aumento, al 2,4% del prodotto interno lordo (Pil). Il 29 ottobre la Commissione Ue contesta la credibilità delle stime alla base della manovra, riscontra una «violazione particolarmente grave» delle regole e chiede al governo di correggere la bozza di bilancio entro due settimane. Tre giorni dopo il «Corriere» scrive, appunto, che la Commissione è pronta a avviare una procedura sui conti dell’Italia con un passaggio formale previsto il 21 novembre.
Le contestazioni dei senatori M5S sono due: la notizia sarebbe stata falsa e avrebbe danneggiato l’Italia a vantaggio degli speculatori che puntavano contro il Paese. Quanto al primo punto, si possono solo ricordare le tre righe finali della «Relazione della Commissione» (un atto legale) che poi in effetti è stato pubblicato il 21 novembre: «L’analisi indica che il criterio del debito (…) debba considerarsi come non rispettato e che, pertanto, una procedura per i disavanzi eccessivi basata sul debito sia giustificata». La Commissione era, alla lettera, «pronta». Né il «Corriere» era solo a sostenerlo. Il giorno prima il «Sole 24 Ore» titolava «Lettera Ue: pronta la procedura», il giorno dopo «Repubblica» scriveva: «Avviso Ue: pagherete per 5 anni» e dello stesso parere erano tutti i media del mondo. Ne era convinto anche il vicepremier e leader M5S Luigi Di Maio, che al «Financial Times» il 4 novembre dice: «La procedura sarà avviata», pur prevedendo che ci sarà dialogo e si eviteranno sanzioni.
Si tratta di capire se questi annunci del «Corriere», di altri media e di Di Maio abbiano danneggiato l’Italia, «favorendo gli speculatori». Sembra vero il contrario, perché in coincidenza con l’uscita di quelle notizie calano sia i rendimenti dei titoli di Stato italiani a dieci anni, sia il loro differenziale(spread) con gli omologhi titoli tedeschi. Secondo Bloomberg i rendimenti dei Btp decennali calano di sei punti-base (0,06%) il giorno in cui esce il «Corriere», di altri sei il giorno dopo e restano sotto i livelli della vigilia dell’articolo per una settimana. Forse gli investitori calcolano che, con Bruxelles «pronta alla procedura», il governo alla fine avrebbe dovuto fare retromarcia (come poi accaduto).
I senatori M5S muovono le stesse contestazioni su un articolo del «Corriere» del 7 novembre, in cui si dice che fra Ue e Italia a quel momento «non c’è stato alcun vero passo avanti, né alcun vero negoziato». L’accusa è di aver sottovalutato i segnali di disponibilità al «compromesso» da parte di altri governi europei. Anche qui il «Corriere» non ha alcuna esclusiva. Il 6 novembre l’Ansa parla di «muro del “non si cambia” innalzato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini». In effetti già il 4 novembre proprio il vicepremier leghista in una dichiarazione sull’Ansa definisce «archiviata la scelta se trattare o meno» e sempre lui sull’Ansa del 13 novembre esplicita il senso delle sue parole: «Se all’Europa (la manovra, ndr) va bene siamo contenti, sennò tiriamo diritto».
Non serviva neanche che Salvini lo dicesse, perché per il governo parlano gli atti: se c’è una disponibilità al compromesso da parte di altri Paesi l’Italia in quel momento non la coglie, perché proprio il 13 novembre rimanda a Bruxelles una manovra immutata («correzioni più che altro formali», secondo il ministro dell’Economia, Giovanni Tria). È in quella fase del muro contro muro che lo spread torna a salire. Non per ciò che scrive un quotidiano, ma perché gli investitori temono che l’Italia voglia caricarsi di troppo deficit contro le regole dell’euro e malgrado la procedura.
Poi da fine novembre fino al 18 dicembre, il governo cambierà strada e farà concessioni per evitare la procedura in extremis. Rivede le stime, toglie 10,2 miliardi dal deficit 2019, mette due miliardi di tagli di spesa a luglio in caso di scostamento, più 51 miliardi di aumenti Iva sui prossimi due anni. Probabile che il flop del Btp Italia chiuso il 22 novembre abbia fatto capire tutta la difficoltà di finanziare il debito ed evitare il default, se si è in conflitto con la Ue. Potranno rivelarlo solo i protagonisti di questa storia. Il resto sono chiacchiere senza costrutto.