la Repubblica, 14 gennaio 2019
Trump, ciarlatano digitale
Sessant’anni fa sulla Cbs andava in onda una serie western di successo, chiamata Trackdown. In un episodio profetico intitolato La fine del mondo, si vede un ciarlatano che chiama a raccolta gli abitanti del luogo perché ascoltino le notizie urgenti che ha da dare. Sta per avvenire un’«esplosione cosmica» che segnerà la fine del mondo, dice. Ma lui può salvarli. Il suo nome? Trump. Walter Trump. Nell’episodio, Hoby Gilman, un Texas ranger che rappresenta il buonsenso, cerca di persuadere i suoi vicini a non dare ascolto a Trump.
Proprio come il suo omonimo mezzo secolo dopo, il Trump del telefilm western mette in campo gli avvocati per neutralizzare i suoi avversari e i suoi contestatori. Ciarlatani e truffatori sono sempre esistiti. I truffatori di oggi sono simili a quelli di un tempo, solo che ora hanno accesso alla tecnologia che offre loro opportunità fin qui inimmaginabili. Sono ciarlatani digitali. L’intervento occulto di un Paese nelle elezioni di un’altra nazione è un buon esempio di vecchie prassi che la tecnologia ha “superpotenziato”. È successo nelle elezioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Il consenso generale delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti (e anche di altri Paesi) è che si sia trattato di un’operazione brillantemente disegnata ed eseguita (con un costo molto limitato) dal Governo russo, sotto la supervisione diretta di Vladimir Putin. Ma sarebbe un errore presumere che i ciarlatani digitali si stiano immischiando solo nelle elezioni americane. Sono 27 i Paesi che sono stati vittima, probabilmente, di interferenze politiche orchestrate dal Cremlino. Il Cremlino ha deciso di acuire i conflitti sociali per indebolire i suoi rivali occidentali. Uno dei dati più rivelatori sull’impatto dei ciarlatani moderni sono le ricerche su Google dopo la Brexit, cioè dopo che il Regno Unito aveva deciso, con un margine del 4%, di divorziare dal restodell’Europa: «Che cos’è la Brexit?» era una delle stringhe di ricerca più inserite dagli utenti dopo il referendum. Ricordiamoci che molte delle tesi e dei dati utilizzati dalla campagna per il leave erano notoriamente falsi. Ma non aveva importanza: proprio come gli abitanti della cittadina del vecchio West in quel telefilm degli anni ’50, «la gente era pronta a credere».
Lo stesso vale per la mendacità di Donald Trump. Secondo il Washington Post, nei suoi 710 giorni come presidente Trump ha pronunciato la sconvolgente cifra di 7.645 dichiarazioni false o fuorvianti, una media di circa 11 al giorno. Questa opera di fact checking non sembra turbare il presidente, perché sa, come il vecchio omonimo televisivo, che «la gente è pronta a credergli».
Infatti, le persone che si fanno raggirare dai ciarlatani sono altrettanto colpevoli, se non più, dei ciarlatani stessi. Spesso i seguaci sono irresponsabilmente disinformati, abulici e disposti a credere a qualunque affermazione trovino seducente, per quanto insensata possa essere. È una situazione che deve cambiare. Dobbiamo ricostruire la capacità della società di distinguere tra verità e bugie. Serve più educazione sugli usi e gli abusi della tecnologia informatica, e dobbiamo accettare il fatto che la democrazia richiede sforzi maggiori che limitarsi a esprimere un voto ogni tot anni. Dobbiamo essere meglio informati e sviluppare un senso critico che possa metterci sull’avviso quando ci stanno manipolando. La necessità che i Governi agiscano e creino regole e istituzioni in grado di tutelare i consumatori dai comportamenti predatori delle aziende dei social media sta diventando sempre più evidente. Soprattutto, dobbiamo sviluppare la capacità di distinguere tra i leader onesti e animati da buone intenzioni e i ciarlatani che ci vogliono raggirare.
(Traduzione di Fabio Galimberti)