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 2019  gennaio 13 Domenica calendario

«Giù le mani da Tolkien». Vittoria Alliata, che tradusse per prima Il Signore degli Anelli

Il mondo di Tolkien in Italia è in subbuglio per alcuni recenti episodi, due dei quali hanno coinvolto anche Vittoria (Vicky) Alliata di Villafranca, storica traduttrice del Signore degli Anelli. Il primo: l’intervista su «Robinson», l’inserto di Repubblica del 29 aprile 2018, a firma di Loredana Lipperini a Ottavio Fatica, il nuovo traduttore del romanzo «suggerito» alla Bompiani da Roberto Arduini e Federico Gugliemi (Wu Ming 4), che lo rivendicano nei loro siti web e con lo scopo di fare «uscire Tolkien dalla palude in cui era rimasto relegato per quarant’anni in Italia e ridargli la dignità». Il secondo: la conferenza del 12 maggio 2018 al Salone del libro di Torino, stand Bompiani-Giunti, con Arduini, redattore dell’Unità e presidente dell’Associazione italiana studi tolkieniani (Aist), e lo stesso Fatica per annunciare ufficialmente la «nuova traduzione» che sarebbe dovuta uscire il 24 ottobre 2018 ma che ancora non si è vista. Sentiamo dunque la diretta interessata, Vicky Alliata, anche in vista di quel che dirà nell’incontro al Senato il 17 gennaio.
Sul proprio seguitissimo blog l’illustre storico Franco Cardini, schierandosi dalla tua parte, rivela che tu hai sporto querela per diffamazione dopo i due episodi che ti hanno chiamata in causa.
«Il video diffuso dall’Aist mostra un trio di individui che, invece di illustrare in positivo il proprio lavoro, si esibisce, in modo eticamente e deontologicamente scorretto, nell’infamare il lavoro di una collega, per giunta in sua assenza. Un grottesco tribunale del popolo radical chic che processa un’imputata ignara e inerme. E lo fa con argomenti peggio che banali, come quello della mia allora giovane età all’epoca della traduzione del libro. Alla cosiddetta presentazione hanno finanche stravolto la storia della mia traduzione, dimostrando di non aver letto né il tuo libro Tolkien e l’Italia (Il Cerchio) che ne ripercorre meticolosamente le tappe fin dal momento in cui l’editore Astrolabio me l’affidò nel 1967, né i documenti da te pubblicati. Fra questi lo scambio di corrispondenza fra l’editore inglese Allen&Unwin e Ubaldini e gli altri materiali che provano l’attiva partecipazione del Professore al mio lavoro e l’approvazione entusiasta del testo definitivo non solo da parte di Tolkien stesso, che conosceva l’italiano per averlo studiato durante la prima guerra mondiale, ma anche del figlio Michael e dell’amico, noto cattedratico dell’università di Oxford, Camillo Talbot D’Alessandro, al quale aveva inviato copia».
Ottavio Fatica ha dichiarato a Repubblica che la tua traduzione è «un’avventura improvvisata»: conterrebbe «500 errori a pagina per 1.500 pagine». E come esempio cita «un curioso stilema: raddoppia gli aggettivi. Placido e tranquillo, rapido e veloce, misero e magro... diventa una parafrasi, decisamente brutta».
«Costui ha preso per errori delle forme espressive dantesche, come l’endiadi e la dittologia, che evidentemente ignora. È noto che questi stilemi, tutt’altro che curiosi, venivano usati dal Poeta per esprimere e rafforzare dei concetti grazie a coppie di sinonimi o di vocaboli i cui significati si completano reciprocamente. Non so quali studi abbia seguito il Fatica, ma è evidente che ignori la stilistica e in particolare quella che si impara nelle scuole italiane, dove tutti apprendono le figure retoriche, in primis a passi tardi e lenti del Petrarca. A chi non le conosce non si può certo affidare la traduzione d’importanti autori il cui linguaggio si ispira a poemi epici e saghe medievali».
Federico Guglielmi (Wu Ming 4), socio fondatore dell’Aist, ha annunciato sul suo sito di avere assolto il compito che si era prefissato, dopo «il sì della Tolkien Estate», cioè «riaprire la partita delle traduzioni e ritraduzioni».
«La Tolkien Estate, che cura gli interessi degli eredi Tolkien, smentisce categoricamente questa affermazione. Erano all’oscuro di questa iniziativa e sono molto sorpresi e dispiaciuti che un editore, dopo avere venduto non solo milioni di copie stampate, ma anche i diritti cinematografici di un’opera, metta in discussione quella che Fatica stesso sul proprio sito definisce un’impresa epica. Fra l’altro il Fatica afferma nell’intervista di non volere rispettare i dettami dello stesso Tolkien, lasciando quasi tutto in inglese. In quanto poi al nuovismo a tutti i costi, secondo il quale l’opera va aggiornata perché la sua filosofia (e soprattutto la sua idea di libertà) è diversa da quella attuale, ebbe a deplorarne i misfatti proprio il figlio Christopher Tolkien, nel 2012 su Le Monde: Hanno tradito il libro... Tolkien è diventato un mostro, divorato dalla propria stessa popolarità e assorbito nell’assurdità del nostro tempo... Il divario fra la bellezza e serietà dell’opera, e quel che è diventata, mi sconvolge. Finisce per esserne screditata persino l’immagine di quella prestigiosa casa editrice fondata dal lungimirante Valentino Bompiani, che con le sue traduzioni raffinate ha consentito a migliaia di giovani di leggere i capolavori della letteratura mondiale. Non c’è nulla di più lontano dagli ideali della Bompiani che il disconoscimento della stilistica e l’uso di un maquillage artificioso. Con buona pace di chi preferisce banalizzare gli autori con il digital storytelling di cui Roberto Arduini si definisce, ahinoi, specialist. O di chi, come Fatica, rivendica il merito di avere espresso in chiaro la dimensione omosessuale dei protagonisti di Moby Dick. Sarebbe opportuno che l’editore Giunti, attuale proprietario della Bompiani, spiegasse le ragioni per le quali consente che sia pubblicamente infamata l’opera di una propria traduttrice, approvata personalmente dall’Autore, che era peraltro fine linguista. Un’opera che continua a ristampare sebbene non ne abbia alcun diritto, visto che il contratto con me, scaduto da tempo, non è stato rinnovato: forse per prendere il tempo necessario a travestire Il Signore degli Anelli in foggia Lgbt in ossequio al nuovismo».
Negli anni ’60 Mondadori rifiutò per due volte Il Signore degli Anelli con diverse motivazioni, e tra queste il considerarlo troppo «nordico». Ne eri al corrente quando fosti incaricata da Astrolabio di condividere con lui quella coraggiosa impresa?
«Fu proprio l’ostica nordicità il motivo delle mie scelte stilistiche. Tolkien voleva che il suo fosse un messaggio universale rivolto a tutti i popoli del pianeta senza distinzioni: un’epopea i cui eroi (e anti eroi) ispirassero le nuove generazioni, incoraggiandole a combattere con le armi, ma soprattutto con la solidarietà e la pietas, contro la superbia dell’ego e contro le forze della dissoluzione e del Male, spesso camuffate da Bene. Fu proprio grazie all’utilizzo di forme espressive familiari a tutti i giovani italiani che credo di avere reso comprensibile con freschezza e ritmo affabulante quel testo, improvvidamente stroncato pochi anni prima dal famoso scrittore e traduttore Elio Vittorini. Quel suo giudizio così categorico fu per me una vera e propria sfida. Fino ad allora avevo tradotto i poeti della Beat Generation e fatto da interprete (d’inglese, francese, tedesco e spagnolo) a personaggi come Cefis e Pitangui. Una traduttrice sedicenne armata solo di una vecchia Olivetti e del proprio bagaglio letterario sarebbe riuscita in ciò che i soloni di allora avevano considerato impossibile, facendo innamorare milioni di lettori».