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 2019  gennaio 13 Domenica calendario

Oggi sposi

È una fortuna che le madamine Sì Tav e gli umarell, sempre a caccia di nuovi cantieri per passare il tempo, si siano ridati convegno in piazza a Torino. Quella che i giornaloni chiamano comicamente “Onda Arancione” era un po’ meno folta gente dell’altra volta: da circa 25 a circa 15 mila manifestanti. Forse qualcuno s’è informato e ha scoperto che non vale la pena perdere tempo prezioso a manifestare per un buco di 60 chilometri e 15-20 miliardi per guadagnare 20 minuti nel trasporto ad altissima velocità di poche merci da Torino a Lione. Forse qualcuno ha capito che l’opera più inutile della storia dopo il ponte sullo Stretto non si farà mai. Forse qualcuno s’è stufato di farsi strumentalizzare da un sedicente “movimento spontaneo” che in realtà è il paravento piuttosto spintaneo dei soliti, vecchi, marci poteri torinesi e nazionali. Ormai talmente impresentabili che a novembre preferirono travestirsi da madamine e nascondersi dietro gli umarell per non far scappare la gente, ma ora devono uscire allo scoperto perché a maggio si vota per la Regione e il Parlamento europeo e qualche prestanome devono pur candidarlo. È questo l’aspetto positivo della marcetta di ieri: finalmente li abbiamo visti in faccia.
C’erano un centinaio di sindaci del Nord con la fascia tricolore, ma stavolta nessuno ha trovato nulla da ridire. Invece il vicesindaco M5S di Torino Guido Montanari, che a dicembre osò sfilare con gli 80 mila No Tav, fu linciato con la sindaca Chiara Appendino da opposizioni e giornaloni. Piero Fassino, che è un po’ il portafortuna dei Sì Tav, tuonava: “È una penosa ipocrisia, quella fascia è un simbolo istituzionale, il tricolore non può essere usato come foglia di fico per coprire le proprie ambiguità. La sindaca si preoccupa più di assecondare la sua maggioranza che dell’interesse di tutti i cittadini torinesi”. E il suo dioscuro Sergio Chiamparino rincarava: “La Appendino è in minoranza su tutti i temi. Il mio rammarico è che non tenga una posizione da sindaca di tutti”. Poi si appellava all’alleato Matteo Salvini: “È lui che deve imporsi con i 5Stelle per il Tav”. Appello raccolto. Ieri, finalmente, dopo mesi di flirt e fuitine clandestine, il Partito Trasversale del Cambianiente ha fatto coming out, ufficializzando in piazza la Grande Ammucchiata: oltre al leggendario Mino Giachino, lobbista ed ex sottosegretario forzista (era il vice di Lunardi nel governo B., per dire), c’erano 33 sigle imprenditoriali e prenditoriali sempre a caccia di soldi pubblici. C’era l’aspirante segretario del Pd Martina, a braccetto col governatore Chiamparino.
E soprattutto gomito a gomito col governatore forzaleghista ligure Toti. C’era il forzista Alberto Cirio, candidato di centrodestra contro (si fa per dire) il Chiampa. C’erano i parlamentari Pd per nulla imbarazzati di sfilare con la capogruppo forzista Gelmini e con deputati e senatori leghisti dal segretario piemontese e capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, che non ha perso occasione per mentire: “La Lega è sempre stata a favore della Tav, lo sapevamo già quando abbiamo firmato il contratto di governo”. Doppia balla: nel Contratto di governo, la Lega ha firmato l’impegno sul Tav a “ridiscuterne integralmente il progetto”; ed è falso che sia sempre stata Sì Tav. Come ricorda il sito Lettera43, il Carroccio nel 2005- 2006 diffondeva volantini e manifesti col suo simbolo e le scritte cubitali: “Stop Tav”, “Stop Tav dalla nostra Valle”. Maroni difendeva i No Tav sulla Padania: “Non sono i no global. La protesta della Val Susa non va ignorata, bisogna comprendere le ragioni della gente… Quando c’è una rivendicazione sensata non si può mandare la polizia e basta”. Borghezio, europarlamentare, urlava “Tav uguale mafia”. E il futuro governatore Cota: “Due pesi e due misure. Se a protestare è la gente del Nord (i No Tav, ndr), prima o dopo arriva il manganello, se invece i tumulti avvengono al Sud, i metodi per un ritorno all’ordine si fanno decisamente più leggeri e sfumati”.
Del resto Salvini era No Triv fino al referendum di tre anni fa e ora è Sì Triv. Era contro gli inceneritori e ora vuole moltiplicarli. Era per le manette agli evasori e ora le blocca. Ma, essendo l’ultima scialuppa di salvataggio dell’Ancien Régime, nessuno ne smaschera i voltafaccia. Dopo aver firmato il contratto di governo con la clausola anti-Tav, l’estate scorsa disse che era favorevole all’opera “ma mi rimetto all’analisi costi-benefici”. E ora che questa la boccia senz’appello butta la palla in tribuna vaneggiando di un fantomatico “referendum” che richiederebbe tempi lunghi e sarebbe comunque solo consultivo. Ma viene preso molto sul serio dai giornaloni: persino da firme un tempo nemiche delle grandi opere inutili, come Stella e Rizzo, che non ricordiamo schierate per un bel referendum pro o contro il Ponte sullo Stretto; persino dai famosi cultori della scienza e della competenza, che ora se ne infischiano dell’analisi costi-benefici firmata da competentissimi scienziati. Il referendum-patacca sul Tav affratella Salvini, Zaia, Fontana, Toti & C. al Pd, che ha smesso per un giorno di dare dei fascisti ai leghisti e di lanciare l’allarme democratico, per salvare gli affari dei soliti noti. Del resto i pidini che agitano ogni giorno a favore di telecamera lo spauracchio fascioleghista sono gli stessi che nell’ultimo anno hanno votato in Parlamento, con B. e con la Lega, il Rosatellum, il colpo di spugna sul peculato, gli emendamenti per svuotare il Dl Dignità e i salvataggi di onorevoli e senatori dai loro processi (anche per corruzione e associazione a delinquere) e altre fantastiche porcate. Un bel colpo d’occhio, dalle Camere alla piazza. E perché, prossimamente, non anche al governo?