Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2019
La torta alla ricotta e crema fritta di Italo Svevo
A Trieste, sulle orme di Italo Svevo, da visitare non ci sono soltanto il Caffè San Marco, frequentato abitualmente dallo scrittore, la Biblioteca civica di piazza Hortis che ospita il Museo sveviano e la passeggiata del giardino pubblico di via Giulia, che compare nei suoi romanzi più celebri, da La coscienza di Zeno a Senilità. Un altro luogo racconta del romanziere, da conoscere però soltanto attraverso i ricordi: Villa Veneziani, uno dei centri pulsanti della vita culturale, economica e sociale di Trieste a cavallo fra Ottocento e Novecento. I locali, arredati in stile tedesco antico misto a stucchi, vetrate e mobilio del Settecento veneziano e francese, erano frequentati da Eugenio Montale, James Joyce, Leo Ferrero, Giacomo Debenedetti, Leonor Fini e Bobi Bazlen. Da lì passò anche Gillo Dorfles che scrisse: «moltissimo del tessuto narrativo di Svevo, soprattutto della Coscienza di Zeno» è stato merito di quell’ambiente, «delle passioni nascoste, dei conflitti di interesse, della dicotomia tra mondo letterario e mondo familiare».
Il ricettario di Casa Svevo di Alessandro Marzo Magno è dedicato proprio a Villa Veneziani, alla sua storia e abitudini, incluse quelle culinarie, con le ricette di Dora, cognata del romanziere e bisnonna di Susanna Tamaro. L’autrice di Va’ dove ti porta il cuore e Aron Ettore Schmitz sono, infatti, legati da una lontana parentela. Nell’introduzione al libro di Marzo Magno, Tamaro ricorda i pranzi di famiglia, fondamenta della sua infanzia e forse della propensione alla scrittura, e si domanda: «Come mai nessuno parla della nostra predisposizione genetica ed epigenetica a mangiare un certo tipo di cibo? Il nostro corpo non è forse anche memoria di chi ci ha preceduto e delle cose di cui si è nutrito?». Segue un’accorata invettiva contro la cucina salutista, in particolare di ispirazione orientale, colpevole – secondo Tamaro – di alterare le tradizioni: «Cosa succede a una persona che discende da generazioni di mangiatori di goulash e di salsicce di cragno quando, a un tratto, comincia a cibarsi quasi esclusivamente di alghe kombu, di quinoa e di polpette di soia?».
Di Villa Veneziani e della redditizia fabbrica di vernici di famiglia, sono rimaste soltanto tracce, scampate al bombardamento nel 1945: in mezzo ai palazzoni di semiperiferia, all’altezza del numero 22 della strada intitolata allo scrittore (un tempo si chiamava Passeggio Sant’Andrea), c’è un edificio basso, rimaneggiato, ampliato e irriconoscibile. Tutto è cambiato: sono scomparse le rotaie del tram che fermava proprio di fronte, la vecchia linea ferroviaria Translapina che dalla stazione andava fino a Vienna è quasi nascosta dalla sopraelevata, e al posto dell’Ospizio marittimo c’è una scuola media.
Quel poco che è sopravvissuto si ritrova sparso fra gli eredi, come il ricettario di Dora, affidato al pronipote Piero Anzellotti che gestisce un locale a Trieste, SaluMare. Il quaderno dalla copertina marmorizzata bianca e nera riferisce un gusto per il cibo che Svevo non nomina nei suoi libri. La sua passione per certi piatti emerge soltanto in un breve passaggio di una vecchia intervista alla figlia che parla di quanto fosse goloso di torta alla ricotta e crema fritta, che si ritrovano tra le pagine ingiallite insieme alla pinza (focaccia pasquale), alle frittole (frittelle servite in genere alla fine della cena con lo champagne), ai biscotti al burro, ai presnitz (pasta sfoglia arrotolata con un ripieno di frutta secca, prugne, albicocche, uvetta, cioccolata) e alle tagliatelle fritte dolci. Tra zuccheri e «sigarette turche dal tabacco scuro e puzzolente», fumate in continuazione e contenute in scatole da venti o quaranta, di cartone un po’ imbottito, trascorrevano le giornate di Svevo, impegnato negli uffici dell’azienda dei suoceri e nella scrittura. Dal 1923, anno del successo de La coscienza di Zeno, fino alla sua morte, nel 1928, dovuta alle complicazioni di un incidente stradale, i ricevimenti a Villa Veneziani divennero sempre più cenacoli intellettuali, soprattutto la domenica, quando si servivano salatini e sandwich con pane, burro, senape, olive, oppure con mascarpone, noci e pepe.