La Stampa, 13 gennaio 2019
Intervista a Lucio Tasca d’Almerita, l’ultimo Gattopardo
Lucio Tasca d’Almerita, classe 1940, «l’ultimo Gattopardo», è un conte siciliano innamorato pazzo della sua terra. La sua azienda vinicola Tasca d’Almerita è stata la prima italiana ad avere doppia certificazione di sostenibilità, VIVA e SOStain.
Lei è stato in gioventù un grande cavallerizzo, vero?
«Sì. Ho cominciato a montare a cavallo a 13 anni, la mia passione era l’automobile, ma mio padre pensava fosse pericoloso e mi ha indirizzato sull’equitazione. Dopo un primo premio da juniores fra le scuole di equitazione d’Italia nel ’55 ho partecipato ai campionati europei juniores di squadra a Bilbao e siamo arrivati terzi, nel ’57 ai campionati europei juniores a Londra. Ho ancora una foto con il duca di Edimburgo che mi dà una coppa. Entrai nella squadra per le Olimpiadi a Roma nel ’60: la cosa più bella fu la passeggiata dal villaggio olimpico allo stadio, l’incitazione del pubblico, l’applauso da brividi entrando nello stadio Olimpico. Da presuntuoso ho pensato che le successive Olimpiadi le avrei vinte e così ho abbandonato».
La vostra famiglia ha sempre prodotto vino nella tenuta di famiglia a Regaleali?
«Già alla fine dell’800 a Villa Tasca si imbottigliava il vino, così come faceva il Duca di Salaparuta che imbottigliava il Corvo. Questo finì con la Prima guerra mondiale e mio padre negli Anni 60 riprese con il Regaleali, un bianco di enorme successo. Nei primi quattro anni arrivammo a 600 mila bottiglie. Io aiutavo mio padre e ho iniziato con mia madre a vendere vino, prima a Palermo poi nel resto d’Italia».
Quando il vino è diventato un business?
«Nel ’70, quando arriva da noi la prima “Riserva del Conte”, un rosso che facciamo ancora oggi inventato da mio padre. Un vino di alta qualità. Mio padre non era un enologo ma un gran buongustaio. Nel frattempo io lavoravo per conto mio, cominciai con la maglieria, poi gli ortaggi e anche fiori, tulipani, garofani, rose. A partire dall’80 mi sono dedicato esclusivamente al vino».
Come si impara il mestiere?
«Quando uno viaggia per vendere vino si rende conto di quali vini hanno successo. Più si degusta e più si impara. Io giravo con Ignazio Miceli, dalla Napa Valley al Chateau Margaux e poi ho degustato moltissimo durante le fiere in giro per il mondo. Il mio preferito in Italia era il Sassicaia ».
Mai usato un enologo?
«Prendemmo un allievo di Ezio Rivella, top mondiale in enologia e viticoltura. Si chiamava Renzo Peira e lavorava con grande passione. Lui era l’enologo, io avevo le idee».
Quando comincia la moda del vino?
«Negli Anni 80 producevamo un paio di milioni di bottiglie. Vendevamo molto in Italia e all’estero. In Italia, soprattutto a Roma, il Nord era più difficile perché all’epoca i terroni erano poco accettati. Nell’83 cominciai a piantare a Regaleali quattro vitigni internazionali, il Rosso Cabernet Sauvignon, il Pinot Noir, il Sauvignon Blanc e il Chardonnay. Ebbero un successo strepitoso sotto il nome di Tasca D’Almerita. Fu un gran colpo che nessuno si aspettava e così ci conobbero in tutto il mondo».
Avete altri vigneti?
«Nel 2001 ho comprato un vigneto a Salina dove abbiamo cinque ettari di vigna e produciamo malvasia e abbiamo anche un resort di 27 stanze che sta andando molto bene. Poi abbiamo fatto un accordo con la fondazione Whitaker all’isola di Mozia e lì facciamo il vino “Grillo” che è unico perché c’è un microclima straordinario. Il terzo passo è un’azienda che si chiama “Sallier De La Tour” vicino a Monreale. Sallier de la Tour è il nome del marito di mia sorella Costanza. Si tratta di 50 ettari con una cantina molto carina che a mezz’ora da Palermo. Produciamo Grillo, Nero d’Avola e Syrah, abbiamo un contratto per 18 anni».
Quando nasce la moda del vino dell’Etna?
«Abbiamo iniziato a comperare nel 2007, il nostro primo vino è del 2010, si chiama Tascante, i vitigni sono il Rosso e Nerello Mascalese e Nero Cappuccio. Sull’Etna ci sono vari appezzamenti Doc, ma l’Etna è talmente strano che ogni appezzamento dà risultati diversi perciò faremo vari vini con il nome di ogni contrada».
Il vostro vino è organico?
«Sono molto orgoglioso di un progetto inventato dai miei figli Giuseppe e Alberto, una metodologia di sostenibilità ambientale che consuma poco e lascia ai nostri nipoti dei terreni migliori di quando li abbiamo presi noi. Il nostro orgoglio è che abbiamo avuto la firma del ministro dell’Ambiente e ministro dell’Agricoltura per questo progetto che si chiama SOStain».
Produrre vino è un affare di famiglia?
«È così in Italia e in Francia. Pensando al futuro io ho già lasciato ai miei figli maschi a uno la proprietà vinicola e all’altro la Villa Tasca con il suo giardino storico».
Quanti figli ha?
«Ho quattro figli: Giuseppe, Alberto, Franca e Alessandra, Franca fa la madre e Alessandra lavora nel nostro ristorante Le Cattive a Palazzo Butera dove vi è una cucina siciliana un po’ francesizzante: ho anche tre nipoti maschi e una femmina che fa per sei».
Si può dire che lei sia l’ultimo gattopardo, anche se preferisce non essere chiamato con il suo titolo è vero?
«Preferisco essere chiamato contadino, io sono un siculo innamorato pazzo della mia Sicilia, forse non molto dei siciliani: siamo molto intelligenti ma siamo presuntuosi e invidiosi».
La Sicilia secondo lei è Italia?
«No. Abbiamo un sangue misto pazzesco, qui è passato tutto il mondo, per questo forse siamo intelligenti, però vi sono gravi problemi: il guadagno medio in Lombardia è di 36.000 euro all’anno mentre è di 17 mila a Palermo. In Sicilia nei paesi la gente non muore di fame perché tutti hanno un terreno e la vita costa poco. In città le periferie sono molto povere perché non c’è lavoro e forse nemmeno tanta voglia di lavorare. La burocrazia e la politica non aiutano».
E il turismo?
«Noi qui camminiamo sul petrolio delle bellezze storiche e archeologiche straordinarie, il 71-72% dei beni storici nel mondo è in Italia e la Sicilia ha circa il 49% dei beni storici italiani ma non sappiamo sfruttarli. Ma negli ultimi due anni qualcosa sta cambiando, a Palermo con Manifesta città della cultura vi è stato un aumento del 13-14% del turismo e il sindaco Orlando ha fatto un grande lavoro di pubbliche relazioni: Rocco Forte ha appena comperato l’albergo Villa Igea per rinnovarlo e un golf a Verdura, dove ogni estate vi è il Google camp e un torneo di golf internazionale, il fondo Algebris ha comperato l’Hotel des Palmes e Massimo Valsecchi ha comperato e restaurato il Palazzo Butera dove farà un museo di arte moderna e contemporanea, un progetto bellissimo. Si può dire che è l’inizio del Rinascimento di Palermo che può anche espandersi a tutta la Sicilia».