La Stampa, 13 gennaio 2019
Agenti segreti italiani. Tre vite spericolate fra Regno e Repubblica
K2 non è soltanto il nome della mitica montagna dell’Himalaya. Era anche il nome in codice di Paolo Caccia Dominioni, ingegnere, bravissimo disegnatore (molto apprezzato da Hugo Pratt), eroe della Prima Guerra Mondiale e poi agente segreto. Ne racconta la storia Ulderico Pernioli in Nome in codice K2 (Nuova Argos, pp. 224, €10), uno dei tre volumi da lui dedicati alle imprese di tre agenti segreti, accomunati dallo stesso valore di soldati e dallo stesso campo d’azione in terra africana.
Le imprese fantasiose di James Bond o quelle più realistiche dello Smiley di Le Carré, hanno un solido fondamento nell’attività di intelligence svolta dagli agenti dei Servizi segreti britannici: la realtà ispira la finzione. Non è così per l’attività svolta dai Servizi italiani: il romanzo di spionaggio italiano, come genere, non esiste. Ben venga, allora, il racconto delle imprese dei veri agenti.
Caccia Dominioni, in un primo tempo simpatizzante di Mussolini, dopo il delitto Matteotti lascia l’Italia e diventa socio di uno studio d’ingegnere al Cairo; ma viene richiamato nel 1935 e mandato in Eritrea, dove il Sim (Servizio Informazioni Militare) lo recluta per operare come agente segreto prima e durante la guerra d’Etiopia. Alla fine del conflitto torna al Cairo, ma nel gennaio 1941 il Sim lo assegna al «Gruppo Offensivo», di stanza a Roma; al momento della prima battaglia di El Alamein è però mandato in Africa in un battaglione di Guastatori del Genio.
Ferito e malato, alla fine del 1942 rientra in Italia, riuscendo comunque a organizzare, ad Asiago, un gruppo di Guastatori Alpini. L’8 settembre lo sorprende in treno. A Bologna, mentre i tedeschi fanno prigionieri i militari italiani, riesce a scappare e poi, per via delle ferite di guerra, ottiene una licenza di sei mesi, ratificata dallo stesso comando tedesco. Caccia Dominioni raggiunge la sua casa a Nerviano, dove vengono nascosti un centinaio di «ribelli» e poi si trasferisce a Milano, formalmente negli uffici di una ditta, ma agendo di nuovo come agente segreto con l’incarico di tenere i contatti con i partigiani dell’Ossola, mentre il gruppo dei suoi uomini nascosti a Nerviano viene inquadrato in una Brigata Garibaldi.
Catturato dai repubblichini, viene affidato ai tedeschi e incarcerato alle Nuove di Torino, ma viene messo in libertà grazie all’intervento segreto di Rommel (che a El Alamein lo aveva decorato al valore). Tornato a Milano, viene di nuovo arrestato e portato a San Vittore, ma viene liberato dalla magistratura ordinaria. Su disposizione di Enrico Mattei gli viene quindi affidato il comando del Cln «Fiamme verdi» e poi di Capo di Stato Maggiore del Comando Regionale Lombardo. Dopo il 25 aprile gestirà lo scioglimento delle formazioni partigiane; ma sempre con esse resteranno forti, ebbe a dire «i vincoli che ci legano».
A El Alamein, quando vi operava Caccia Dominioni, aveva combattuto con il reparto di paracadutisti di Alberto Bechi Luserna, che ne raccontò le imprese nel volume I ragazzi della Folgore; e fu proprio Caccia Dominioni a illustrare efficacemente le pagine del libro. Di Bechi Luserna, di nobiltà tosco piemontese, Ulderico Piernoli racconta le vicende nel volume Dai segreti del Sim al sole di El Alamein (Nuova Argos, pp. 221, €10).
Anche Bechi Luserna incrociò l’attività di agente segreto con quella di soldato, a partire dalla sua nomina presso l’ufficio dell’Addetto Militare a Londra nel 1938. E in un suo libro, Britannia in armi, offrì gli sferzanti resoconti di diversi clamorosi errori e fallimenti dei Servizi segreti britannici. All’inizio del Blitz era ancora a Londra, come informatore del Sim, ma una volta richiamato in Italia fu assegnato all’Ufficio Finlandia dei Servizi italiani; poi operò come ufficiale dell’esercito, distinguendosi in particolare nella battaglia di El Alamein. L’8 settembre Bechi Luserna si trovava di stanza in Sardegna. Quando vide che parecchi dei suoi paracadutisti della Folgore si erano accodati ai tedeschi, li raggiunse per convincerli a tornare indietro, per non tradire il giuramento di fedeltà all’Italia. Lo ammazzarono: per il capitano Alvino, che gli sparò, il traditore era lui.
Il terzo volume di Pernioli, Dalle Ambe al Sim (Nuova Argos, pp. 189, €10), riguarda invece le imprese di Amedeo Guillet (su di lui Vittorio Dan Segre scrisse La guerra privata del tenente Guillet. La resistenza italiana in Eritrea durante la seconda guerra mondiale per il Corbaccio), formidabile cavallerizzo, anche lui valoroso soldato e agente segreto in Africa. Delle sue gesta, le più clamorose ebbero luogo nel corso della guerriglia che organizzò in Eritrea nel 1941: gli inglesi avevano messo una taglia sulla sua testa e lui presentandosi come lo yemenita Ahmed Abdullah, si recò a più riprese al Comando britannico fornendo false informazioni che lo riguardavano e intascando così i soldi della sua taglia. Se l’avesse saputo, Bechi Luserna l’avrebbe apprezzato moltissimo. E probabilmente anche Graham Greene.