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 2019  gennaio 13 Domenica calendario

Nazionalizzare una banca crea un vulnus nel sistema finanziario

Chi è più «popolo», i risparmiatori oppure i contribuenti? Il caso della Carige è un buon esempio delle scelte difficili che prima o poi si pongono a chi sostiene di agire in nome del popolo. Quando nella realtà si manifestano interessi divergenti, non si può dar ragione a tutti quanti.
In parole povere, chi paga per il dissesto di una banca? Non si può far finta che un costo da sopportare non ci sia, quando si salva una azienda di credito in difficoltà per evitare che crollando danneggi l’economia del suo territorio. Si fa così perché si reputa che lasciandola fallire il danno sarebbe maggiore.
Su come ripartire il costo, esistono diverse alternative; occorre confrontarle apertamente. I risparmiatori qualsiasi, nel senso di cittadini con un conto corrente in quella banca, sono comunque tutelati dalla legge, fino a 100.000 euro a testa. Quando si parla di «tutelare i risparmiatori» si intende invece altro: lo Stato rifonde chi ha investito in azioni od obbligazioni.
La tentazione del populista è scegliere la via di minore resistenza. I contribuenti sono tanti, dunque un onere ripartito su tutti loro non sarà molto impopolare. I risparmiatori che detengono azioni od obbligazioni della banca in crisi, meno numerosi, possono unirsi e strillare nelle piazze slogan contro il governo, come a Vicenza e ad Arezzo. Sembra dunque meglio tacitare loro.
Costa caro, però. Il salvataggio delle banche venete nel 2017 era stato attaccato da M5S e Lega perché il Tesoro ha speso 4,5 miliardi. Con la manovra 2019 l’attuale coalizione lo farà costare almeno un altro miliardo in più, perché saranno indennizzati tutti i risparmiatori coinvolti, non solo quelli che avendo acquistato direttamente dalle banche stesse si potevano ritenere truffati.
In una economia di mercato investire in titoli comporta rischi. Chi deteneva azioni di grandi e solide banche 12 anni fa, prima della crisi, sa che hanno perduto anche due terzi del loro valore: eppure non chiede «ristoro». Mentre proprio a tutelare i contribuenti servono le regole europee, secondo cui in un salvataggio bancario occorre prima azzerare gli azionisti e imporre un costo agli investitori.
Noi i soldi dei contribuenti li useremmo per nazionalizzare, ribattono i populisti. Beh, se si ritiene che allo Stato serva una banca, meglio comprarla sana. Ma, innanzitutto, nell’esperienza italiana le banche pubbliche, come le avevamo fino agli Anni 90, erano il centro di quei rapporti oscuri tra affari e politica che i Cinque Stelle proclamano di aborrire.
L’illusione di raccogliere la voce del popolo è stata costruita dando fiato a gruppi di interesse rumorosi e cercando di sommarli insieme. Ma di rado i gruppi più aggressivi hanno interessi comuni con larghi numeri di elettori, vedasi anche la Tav per cui il Movimento Cinque Stelle teme il referendum negli altri casi esaltato.
Per soddisfare un certo numero di cittadini scontenti si accollano oneri a un numero più vasto, sperando che siano abbastanza limitati per non spingerli a protestare. Così il pensionamento anticipato di «quota 100», diretto a circa 300.000 persone, sarà in parte finanziato dal taglio dell’indicizzazione per milioni di già pensionati.
Tornando alle banche, nazionalizzare darebbe il segnale pericoloso che anche in futuro lo Stato salderà il conto di tutti gli eventuali errori dei banchieri e degli investitori che li finanziano. Stiamoci attenti, perché se lo «spread» resta sugli attuali livelli fare banca in Italia nel 2019 sarà piuttosto difficile, e c’è scarso margine per sbagliare.