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 2019  gennaio 13 Domenica calendario

La fraterna dolcezza di Salvini per gli ultras

Povero, si fa per dire, Salvini. Ha appena espresso la massima considerazione per il mondo ultrà e quelli della Lazio gli fanno capire quanta ragione sia dalla sua parte. Al raduno per festeggiare in piazza il compleanno della società una parte di loro si presenta con il kit del bravo festaiolo: molotov, mazze, bastoni, tirapugni, un po’ di guerriglia urbana con la polizia in mezzo a gente che non capisce, si spaventa, scappa. In mattinata erano apparsi manifesti di sponda opposta, in cui i colori di Lazio e Napoli erano accostati a quelli di Israele e accomunati dallo stesso giudizio: merde. Il responsabile della comunicazione laziale non è un pivello, è Arturo Diaconale, che ha diretto giornali ed è stato membro del cda della Rai. La prima parte del comunicato lamenta che per un episodio analogo (figurine di Anna Frank in maglia giallorossa) ci sia stata un’eco più vasta in Italia e fuori, e maggiore indignazione. Superata la depressione iniziale, avanzo l’ipotesi che Anna Frank in Italia e nel mondo sia più nota della Lazio, ma il problema non è il comunicato e, al limite, nemmeno le molotov. È l’antisemitismo che ci sta crescendo in casa. Per le tifoserie di entrambe le squadre romane ebreo è un insulto di cui sono pieni i muri di una città bellissima che sarebbe anche più bella senza quelle scritte razziste e idiote. Tanto per far capire chi comanda, altri cori ieri durante Lazio-Novara.
Un passo indietro. La riunione al vertice di lunedì ha portato una grossa novità. Niente di utile c’era da aspettarsi, niente di utile è arrivato: e allora? Allora, Salvini ha ribaltato il tavolo.Fin qui, per anni, sulla questione violenza e razzismo negli stadi, il Viminale aveva assunto posizioni più dure rispetto alla Figc, tremolante come un budino al cioccolato. Stavolta, tutto il contrario: Federcalcio bazzotta e Salvini di soave, fraterna dolcezza.
Dixit: sospendere partite per i cori, non se ne parla proprio. Squalificare una curva o un intero stadio, mai. Non vietare le trasferte ai tifosi, ma incrementarle, magari tornando ai treni speciali. I treni speciali, guarda chi si rivede. Furono aboliti nel 1999, dopo i 4 morti asfissiati nella galleria Santa Lucia, a Salerno. Il treno 1681, con 16 carrozze e 12 poliziotti a bordo, riportava a casa circa mille tifosi che erano andati a Piacenza, ultima di campionato, partita che aveva decretato la salvezza del Piacenza e la retrocessione della Salernitana. Doveva partire alle 20, partì alle 23. Viaggio lungo e tormentato: estintori divelti e scaricati, finestrini rotti, carrozze devastate, freno a mano tirato in continuazione, lancio di sassi a Prato, Firenze, Roma, Napoli, Nocera Inferiore. L’incendio fu appiccato sul treno, forse per depistare chi all’arrivo doveva identificare i responsabili dei reati. Doveva essere un diversivo, fu un dramma: morirono due ragazzi di 23 anni, uno di 16, uno di 15, sorpresi dalle fiamme. Anche trasferte meno luttuose si erano rivelate un fallimento: sistematici danneggiamenti ai treni (che nessuno avrebbe pagato) e pesanti molestie alle viaggiatrici. Se c’è questa diffusa voglia di civiltà, che gli ultrà viaggino su treni non speciali, come tutti, e si comportino civilmente. In caso contrario verranno civilmente invitati a scendere.
Povero, si fa per dire, Salvini. Gli tocca pure una bacchettatina sulla vicenda dei 49 migranti, da Claudio Baglioni, al quale ha cercato di renderla, goffamente, su Twitter ( e dove, sennò?): “Baglioni mi piace quando canta, non quando parla di immigrazione. I cantanti cantano, i ministri parlano”. Con quella sua aria orsesca da barman svogliato, Salvini non parla: scolpisce nel marmo. Ecco il mondo che gli piace. I cantanti cantano, i medici medicano, le badanti badano, i suonatori suonano, i saltatori saltano. Ma non parlino, nemmeno di cose che toccano tutti. I ministri possono, devono parlare, anche quando non pensano prima di parlare, anche quando forse ci pensano ma poi sparano una raffica di cazzate, come Salvini.
Il guaio è che non si sa più a chi credere. Come nuovo patron del Monza Berlusconi aveva anticipato la linea: solo italiani giovani, che non abbiano barba, capelli lunghi, tatuaggi. Già questo taglia fuori tre quarti di mercato, invaso da tatuaggi e barbe (i barbuti negli stadi hanno sostituito i rasati a zero) così come le camicie bianche sono tornate di moda tra i politici.
Coerentemente il Monza ha preso in prova il fratello di Paquetá e ingaggiato il portiere Guarna (ampiamente tatuato). Ultime righe per due che ci hanno lasciati. Giovan Battista Monti, da Rocco battezzato Ginko, medico del Milan dal ’66 al ’98, ottimo medico e bella persona. E Folco Portinari, dirigente Rai, docente di Letteratura italiana, ideologo di Slow Food dalla prima ora, compagno di tavola arguto e sapiente. Quando Carlin Petrini gli telefonava, lui rispondeva: “Soldato Nemecsek, presente”. Ci mancherete, Ginko e Nemecsek, ma è stato bello avervi conosciuti.