Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 13 Domenica calendario

L’America affonda nello shutdown record

Mettiamola così: Donald Trump batte un Clinton anche questa volta. Al ventiduesimo giorno di chiusura parziale del governo federale, il suo è ufficialmente lo shutdown più lungo della storia d’America. Una paralisi amministrativa da record che soffia il primato a Bill Clinton, che nel 1996 tenne il paese bloccato 21 giorni. Sì, perché lo shutdown, letteralmente “chiusura”, scatta proprio quando non si trova accordo sull’approvazione del budget dei vari dipartimenti governativi, che vengono parzialmente chiusi. All’epoca fu il presidente a spuntarla, arrivando a un compromesso sul budget proposto dal Congresso a maggioranza repubblicana. Nel caso di Trump, invece, ostinato ad approvare il bilancio solo se conterrà il finanziamento del muro, si naviga a vista. Con l’ipotesi di dichiarare quell’” emergenza nazionale” che gli permetterebbe di bypassare l’approvazione del Congresso e pescare dai 13,9 miliardi di dollari destinati alla ricostruzione di Texas e Portorico colpita dagli uragani accantonata. Sconsigliato, scrive il Washington Post, dai suoi avvocati che temono ricorsi che bloccherebbero la soluzione ugualmente.
Lo shutdown rischia di trasformarsi in un boomerang per il presidente. Lo riconosce il suo capo dello staff Mick Mulvaney. Ma Trump non molla, dando la colpa ai democratici. Eppure è stato proprio lui ad abbandonare i negoziati tre giorni fa definendoli” perdita di tempo”. Mentre è virale il video dove, lo scorso 11 dicembre, litigando con i leader di Camera e Senato Nancy Pelosi e Chuck Schumer urla: «Se non mi date i 5 miliardi del muro chiudo tutto». Dopo tre settimane di stop – dice Standard& Poor’s – lo shutdown è però costato già 3,6 miliardi di dollari. E se durasse altri 14 giorni finirebbe per costare più dei 5,7 miliardi pretesi per il muro. Non c’è da meravigliarsi se fra gli 800mila lavoratori federali senza stipendio – 420mila costretti a lavorare perché” essenziali” – cresce il malcontento. Molti postano sui social le foto delle buste paga a cifra 0. In alcune città ci sono manifestazioni. E i sindacati denunciano il governo per violazione delle leggi sul lavoro. Nessuno sa come uscire dall’impasse. Il Congresso non ha in programma nuovi appuntamenti per affrontare la questione. E anche se si spera in una soluzione prima del discorso sullo Stato dell’Unione, il 29 gennaio, il New York Times - che proprio ieri svelava che all’indomani della cacciata dell’ex capo dell’Fbi James Comey, l’agenzia indagò il presidente come potenziale spia- rivela che i collaboratori di Trump lavorano a due bozze: una per celebrare la vittoria sul muro, l’altra che spiega le ragioni di uno shutdown ancora in corso. A dare addosso a Trump, anche Hillary Clinton. Che twitta: «Gli elettori non vogliono affrontare altri giorni così». Lo shutdown di Trump sarà anche più lungo di quello di suo marito: ma è un record che nessuno oggi in America vorrebbe reclamare.