Corriere della Sera, 13 gennaio 2019
Le spie di Putin alla gogna in Estonia
«Sulla Russia avevamo ragione noi». Dalle stanze del Parlamento (Riigikogu) alla strada è questo uno dei mantra che ti ripetono in Estonia, il piccolo Paese baltico che dal giorno dell’indipendenza, riconquistata il 20 agosto del 1991, vive nell’incubo di una nuova invasione da parte di Mosca.
«Non lo diciamo a voce alta e non siamo contenti di aver avuto ragione – spiega al Corriere il ministro della Difesa Jüri Luik – ma di certo c’è che oggi i governi sono più consapevoli di questa minaccia. Dobbiamo ricordarci quello che i russi sono capaci di fare. Rimanere realisti». Dai missili Iskander, schierati a Kaliningrad, alle fake news gli esempi sono numerosi. L’Unione Europea, di cui Tallinn è membro dal 2004, ha appena stanziato 5 milioni di euro per contrastare la «fabbrica dei troll». «Sono sicuro che i russi usano la questione dei migranti per aumentare le divisioni in Europa», dice ancora il ministro Luik.
Certo qui in Estonia, che fa parte della Nato, Mosca è una specie di ossessione. «Abbiamo solo tre problemi: la Russia, la Russia, la Russia», ironizza Raul Rebane, ex giornalista televisivo e oggi esperto della guerra di propaganda. Ma è del tutto comprensibile se si pensa che, nel Paese, 1,3 milioni di abitanti, il 30% della popolazione è russo e il 50% parla il russo come madrelingua. Qui si vive in costante allerta. Il governo ha creato una piccola task force per reagire alle fake news del Cremlino e sta costruendo nella zona di confine un muro invisibile fatto di telecamere a infrarossi, sensori sotterranei, cellule fotoelettriche per stanare gli agenti inviati da Mosca. Già perché negli ultimi dieci anni sono state 17 le spie arrestate e condannate in Estonia: 10 dell’Fsb, 5 del Gru, 2 del Svr, il servizio di intelligence internazionale russo. Sedici uomini e una donna. Spesso persone insospettabili. Vengono ricattate o convinte che i rischi siano inesistenti. Andres Kahar lavora per i servizi segreti estoni. Ha gli occhi piccoli e imperscrutabili. Il suo pc ha la porta usb chiusa e la telecamera oscurata per evitare intrusioni. «Putin non sta preparando un’invasione di terra – dice – ma crea le condizioni per poterlo fare. Non ha bisogno di invadere Paesi terzi, ma di controllarli». Sullo spionaggio l’Estonia ha molto da insegnare all’Occidente. Qui è stato lanciato il metodo: dai un nome alla spia e falla vergognare. «L’approccio estone è “ti catturiamo, ti nominiamo e ti mettiamo alla berlina”», dice Toomas Hendrik Ilves che è stato presidente del Paese per dieci anni fino al 2016.
Lo scorso settembre sono stati arrestati Deniss Metsavas, 38 anni, maggiore nelle forze della Difesa estone, e suo padre, 65 anni. La loro cattura è stata resa pubblica ed è considerata un colpo per la Russia. Metsavas ha fatto la spia per più di cinque anni, aveva accesso ai piani con cui l’Estonia avrebbe risposto ad una crisi e anche ai documenti sul coordinamento con la Nato. «Questo non è qualcosa che sparirà, finché Putin è al potere. Il gioco continuerà», ha spiegato Hannes Hanso, presidente della commissione Difesa del Riigikogu.
A Tallinn, la capitale dell’Estonia, c’è il memoriale delle vittime del comunismo, inaugurato lo scorso 23 agosto. Due enormi muri di acciaio neri con sopra i nomi dei caduti formano un tunnel in cui soffia il vento gelido portato dal mar Baltico. A Narva, la città dove la Russia è al di là del fiume, la statua di Lenin è finita vicina a un cassonetto. È il sogno degli estoni dimenticare il comunismo. L’incubo, invece, è: Narva sarà la prossima Crimea?