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 2019  gennaio 13 Domenica calendario

Rosa Luxemburg, la terza via assassinata

Il 15 gennaio 1919 Rosa Luxemburg fu assassinata a Berlino in circostanze ancora parzialmente oscure, nelle fasi conclusive dell’insurrezione comunista soffocata nel sangue da un’effimera quanto efficace coalizione tra forze socialdemocratiche e reazionarie. La sua fine tragica ha privato la sinistra europea di una voce originale e autorevole ma ne ha fatto un simbolo che ha conosciuto stagioni alterne, pur di immutato interesse. Cent’anni dopo ricostruiamo un profilo della Luxemburg e della sua eredità politica grazie a Stefan Berger, direttore dell’Istituto per i movimenti sociali dell’Università di Bochum e presidente della German Labour History Association.
Ebrea, attivista quando le donne non erano ammesse al voto, polacca di origine ma animata da un forte antinazionalismo nell’epoca dell’«autodeterminazione nazionale». Rosa Luxemburg merita la fama di cui gode o si tratta di una costruzione postuma?
«Rosa Luxemburg è stata straordinaria tanto sul piano politico quanto su quello umano. Fare carriera nella socialdemocrazia (Spd) prima della Grande guerra era molto difficile per una donna, per una polacca e per chiunque fosse così critico nei confronti di ogni nazionalismo. Fu una pensatrice politica del più alto livello, i suoi scritti sono ancora oggi una delizia intellettuale. La sua critica del revisionismo socialista e dell’“attendismo rivoluzionario” fu assolutamente puntuale. Quanto alla sua impressionante personalità, l’eccellente film di Margarethe von Trotta le rende il giusto tributo».
Luxemburg e Lenin condividevano molto (l’opposizione alla guerra e al riformismo, la proiezione internazionale) ma li divideva il progetto bolscevico di un partito rivoluzionario d’élite, che Rosa rifiutava. Qual era l’opinione di Luxemburg sulla rivoluzione d’Ottobre? Sperava che si estendesse su scala mondiale?
«Luxemburg accolse la duplice rivoluzione del 1917 con indubbio entusiasmo e con la speranza che il socialismo rivoluzionario trionfasse in Russia. Ma le sue critiche a Lenin e ai bolscevichi erano decisamente fondate, come avrebbero dimostrato gli eventi successivi. La sua fiducia nell’azione del popolo in lotta per la propria emancipazione non era compatibile con la teoria leninista del partito come avanguardia del proletariato».
L’insurrezione di Berlino nel gennaio 1919, la repressione, l’assassinio di Luxemburg e Karl Liebknecht. Quale narrazione di questi eventi ha prodotto la storiografia più recente? Ci sono nuove rivelazioni?
«Per quanto sia impossibile rispondere in poche righe, certamente la lettura della rivoluzione tedesca del 1918-19 è stata condizionata a lungo dalle diverse interpretazioni politiche. La storiografia comunista ha insistito sul tradimento della rivoluzione da parte dei socialdemocratici, sulla loro alleanza con parte dell’élite imperiale, e ha celebrato il tentativo eroico del giovane Partito comunista di seguire le orme bolsceviche spingendo la rivoluzione verso il socialismo. Al contrario, la storiografia conservatrice ha insistito sul pericolo che la Germania precipitasse nel baratro della dittatura comunista, scongiurata soltanto dall’alleanza patriottica che spaziava dai socialdemocratici a una parte della vecchia élite. Se la prima è stata parte integrante della politica della memoria nella Repubblica democratica tedesca (Ddr) fino alla sua scomparsa, essa ha ormai ben pochi seguaci. L’interpretazione conservatrice invece fu contestata nella Repubblica federale già negli anni Sessanta e Settanta, quando una serie di pubblicisti come Sebastian Haffner e di storici come Eberhard Kolb e Peter von Oertzen hanno sostenuto che una “terza via” fosse praticabile. Detto altrimenti, la saldatura tra socialdemocratici ed elementi reazionari non sarebbe stata necessaria se i primi si fossero appoggiati maggiormente sui consigli rivoluzionari degli operai e dei soldati. Quest’interpretazione revisionista sostiene che la minaccia comunista, particolarmente temuta dai socialdemocratici di destra come Friedrich Ebert (che, come è noto, non voleva diventare “il Kerensky tedesco”), fosse in realtà ben poco reale, dato lo scarso seguito dei comunisti presso la classe operaia tedesca. I dibattiti più recenti si sono concentrati piuttosto sul pesante lascito di violenza politica che la Repubblica di Weimar ereditò da quella fase. Una tendenza ben rappresentata dal libro di Mark Jones Founding Weimar, pubblicato nel 2016».
Di recente si è riparlato di una responsabilità diretta dei vertici socialdemocratici nell’assassinio di Rosa Luxemburg. È un’accusa fondata?
«La “Frankfurter Allgemeine Zeitung” ha rilanciato le vecchie “rivelazioni” di Waldemar Pabst, all’epoca ufficiale delle forze armate imperiali, secondo il quale la leadership maggioritaria della Spd attorno a Ebert avrebbe chiesto l’uccisione di Luxemburg. Non ritengo che le sue affermazioni meritino credito: Pabst militava nell’estrema destra durante Weimar e aveva ottime ragioni per distogliere l’attenzione dalle sue responsabilità dirette per gli assassinii. Indubbiamente la maggioranza socialdemocratica non versò copiose lacrime per l’uccisione di Luxemburg e Liebknecht ma dubito fortemente che abbia dato l’ordine esplicitamente. È invece indubbia la contrarietà di Rosa Luxemburg, cofondatrice del Partito comunista, all’insurrezione di Berlino, che considerava velleitaria e condannata al fallimento. Luxemburg aveva passato buona parte del 1918 in prigione, con ben poco tempo per preparare la rivoluzione. La sua uccisione privò la sinistra tedesca di una delle voci politiche più interessanti».
Quattro giorni più tardi, le elezioni per l’Assemblea nazionale inauguravano la Repubblica di Weimar. Quale ombra proiettò la figura di Rosa Luxemburg sulla sinistra tedesca di quegli anni?
«L’uccisione di Luxemburg e Liebknecht, così come la diffusa violenza politica durante la rivoluzione tedesca, proiettarono un’ombra lunga sulla storia della sinistra tedesca. Come ha ben illustrato Klaus-Michael Mallmann, laddove le violenze furono maggiori durante la rivoluzione, comunisti e socialisti non furono in grado di ricomporre la frattura aperta all’inizio del 1919. Dove invece la violenza fu contenuta, una politica frontista fu più facile da forgiare nella Germania di quegli anni».

Che genere di simbolo è divenuta Luxemburg nella storia politica e culturale dei due Stati tedeschi dopo il 1949? Fu «adottata» dalla Ddr come precorritrice? E che opinione ne avevano i movimenti radicali del 1968 e più in generale gli intellettuali dell’Ovest?
«Per certi versi Rosa Luxemburg fu vittima della Guerra fredda. Fu usata e abusata dalla dittatura tedesca orientale, che lei avrebbe ridicolizzato e criticato aspramente. Non a caso anche i dissidenti di sinistra nella Ddr adottarono Luxemburg come arma contro la sclerotizzata leadership di Berlino Est negli anni Ottanta. Nel clima conservatore e anticomunista della Germania occidentale degli anni Cinquanta, Luxemburg fu persona non grata in quanto fondatrice del Partito comunista. Fu però riscoperta dalla nuova sinistra e dalla generazione del 1968, e lo stesso fecero i movimenti femministi dal decennio successivo. Da questi fu elevata a simbolo di una terza via al socialismo tra il comunismo burocratizzato e il riformismo socialdemocratico. Questa è anche la ragione per cui la Linke (il partito a sinistra della Spd oggi in Germania, ndr) l’ha arruolata nel suo Pantheon e ha persino dato il suo nome alla propria fondazione politico-culturale. Per contrasto, la Spd mostra sempre meno interesse per la storia e la recente abolizione della sua “commissione storica” è l’ultimo segnale che un partito un tempo orgoglioso della propria tradizione non ha più interesse per il passato. Lo dico, con grande tristezza, da membro della Spd».
E oggi? Il centenario della morte di Rosa Luxemburg troverà posto nella vita culturale tedesca?
«Credo di sì. La storia ha ancora un posto di rilievo tra le pagine della stampa tedesca, alla radio e in tv. I principali media ricorderanno l’insurrezione di gennaio e l’assassinio di Luxemburg. I ritratti che la vogliono come una strega comunista che ha avuto ciò che si meritava saranno probabilmente confinati all’AfD e all’estrema destra. I media mainstream riconosceranno l’importante eredità di Luxemburg per la sinistra del XX e del XXI secolo. La rivoluzione del 1918-19 mirava alla democrazia socialista ma socialismo e democrazia hanno mostrato ostinatamente di trovare difficoltà a coesistere. Una coesistenza, però, che era il cuore della visione politica di Luxemburg. Questo ne fa una pensatrice così rilevante».