il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2019
Abbasso i social
Robert Habeck, leader dei Verdi tedeschi, ha deciso di non utilizzare più né Twitter né Facebook: “Twitter mi disorienta e mi rende poco concentrato. Mi fa scattare qualcosa, sono più aggressivo, polemico, stridulo ed estremo, il tutto con una velocità che non lascia spazio alla riflessione”.
Come ogni cosa buona, questa decisione ha subito suscitato polemiche. Il segretario della Spd, Kingbeil, ha affermato: “Il posto dei politici è dove c’è il dibattito”.
Altri hanno aggiunto che un politico deve stare al passo con i tempi anche nell’uso degli strumenti di comunicazione altrimenti finisce fuoricorso. Non mi pare che le cose stiano così. E proprio la Germania ne è un esempio. Sfido chiunque a trovare un solo tweet di Angela Merkel che pur ha governato la Repubblica federale per 13 anni con un consenso amplissimo. Merkel si è sempre espressa per note ufficiali o sue o del governo o dei suoi ministri. Al più ha concesso qualche intervista (ci mancherà Angela, con la sua visione politica ampia, il suo stile, portando anche, a differenza di Albright e Condoleezza Rice, un tocco di garbata femminilità in ruoli tradizionalmente maschili).
Da noi, invece, l’uso di Twitter e in generale dei social da parte dei rappresentanti politici, anche con importanti incarichi di governo, impazza. L’apristrada è stato Renzi. Dice: è giovane. Sì, ma non è che se un uomo politico è giovane deve comportarsi esattamente come i suoi coetanei e magari ciucciare il biberon. L’esempio di Renzi è stato seguito da tutti i suoi successori, con maggior o minor pudicizia a seconda delle rispettive personalità. Attualmente il più assatanato fra gli uomini di governo è Salvini, seguito affannosamente da Di Maio, che sempre gli arranca dietro, e più moderatamente da Conte. Il che crea pasticci inenarrabili soprattutto con un governo che è uno e trino. Esemplare è stato il caso della Sea Watch e della Sea Eye, con i suoi 49 migranti a bordo, che veleggiavano al largo di Malta in attesa di un ‘porto sicuro’. Salvini fa sapere via Twitter che non ne accoglierà alcuno. Fa seguire questa twittata da una miriade di interviste. E anche questa ideolipsìa – poiché la Treccani afferma che siamo in epoca di neologismi ne creiamo uno, modesto, anche noi – per le interviste spalmate giorno e notte sulla trentina di talk show in circolazione non è un buon uso della democrazia. Tu non puoi venire a sapere di una importante decisione politica da Maria Latella o dall’Annunziata. Nel frattempo Di Maio, twittante e intervistato, si dichiarava disposto ad accogliere le donne e i bambini, Conte ad andarli a prendere personalmente con un aereo (i bambini li capisco, ma perché le donne? Se son pari siano pari anche nei rischi e la classica frase, durante un naufragio, “prima le donne e i bambini” non vale più). Insomma per giorni non si è saputo, né in Italia né all’estero, quale fosse la reale posizione del governo italiano. La situazione alla fine l’ha risolta Bruxelles, la disprezzatissima Bruxelles, impegnando otto Paesi, fra cui l’Italia, con un Conte rientrato nei suoi panni, ad accogliere, pro quota (per l’Italia 15 o 25, non si sa) non solo i 49 migranti delle due Ong ma anche altri sbarcati nei giorni precedenti a Malta.
Ma lasciando perdere per il momento il caso della Sea Watch e della Sea Eye, definito “vergognoso” dall’Avvenire, questo continuo e permanente twitteraggio, condito da una infinità di interviste, finisce per disorientare i cittadini. Un provvedimento è stato solo annunciato o è in corso di elaborazione o è stato approvato? Le cose in democrazia dovrebbero andare in tutt’altro modo. Dovrebbero andare come andavano anche da noi in un tempo poi non tanto lontano: il Consiglio dei ministri propone una legge, in casi urgenti emana un decreto, se il Parlamento approva, il testo viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e diventa legge dello Stato. Così ci eravamo abituati, noi pleistocenici. Male, evidentemente.