Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2019
La Germania non crede alla crisi
Un rallentamento economico non è sinonimo di crisi economica. La Germania preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno, nonostante la produzione industriale dello scorso novembre abbia deluso tutte le aspettative, a -1,9% mese su mese e gli ordinativi dell’industria manifatturiera abbiano segnato un brutto -1%.
«Il ciclo economico in Germania ha toccato il picco con una crescita reale del Pil a + 2,2% nel 2017 e per il 2018 e il 2019 prevediamo che calerà dell’1% circa rispetto a quel valore. È un rallentamento notevole, ma non è una crisi economica», hanno commentato ieri gli economisti della KFW, interpellati dal Sole24Ore, secondo i quali la Germania può rischiare nel peggiore dei casi una recessione tecnica che però non deve preoccupare perchè non è collegata a un aumento della disoccupazione, a un minore utilizzo della capacità produttiva o una stagnazione dei prezzi.
Che la Germania continuerà a crescere poco sopra l’1% quest’anno, (la probabilità di una la recessione tecnica con terzo e quarto trimestre negativi nel 2018 resta comunque molto molto bassa), non è un atto di fede ma una concreta prospettiva per gli economisti tedeschi, secondo i quali l’economia tedesca ha ancora margini per crescere in maniera sostenibile: anche se le due grandi incognite, Brexit e il protezionismo di Donald Trump, possono mandare a gambe all’aria qualsiasi scenario. Una hard Brexit per esempio potrebbe tagliare il Pil tedesco fino allo 0,50% nel 2019: il Regno Unito è il quarto Paese per l’export della Germania con una fetta del 6,7 per cento.
Il cauto ottimismo sulla capacità dell’industria tedesca, anche quella dell’auto, di reagire e riprendersi dai cattivi numeri del secondo semestre del 2018 (dicembre per ora escluso) si basa su alcuni segnali incoraggianti. L’ufficio studi di Commerzbank per esempio rileva come la contrazione degli ordini a novembre sia stata provocata essenzialmente dall’Eurozona (-12%), mentre nei Paesi non europei il dato è rimasto positivo (+2,3%) e così in Germania (+2,4%). Per gli economisti di KFW, la produzione industriale “crollata” a novembre ha risentito di un fattore temporaneo, il basso livello dell’acqua di alcuni fiumi imporanti che ha rallentato il trasporto fluviale.
In quanto al settore auto tedesco, la lettura degli ultimi dati da parte degli economisti di Commerz non è cupa, ci sarebbero già spiragli che puntano a una ripresa: gli ordinativi sono aumentati in novembre (e si stanno avvicinando agli alti livelli d’inizio 2018) e la produzione, colpita dal rallentamento della crescita globale ma sostenuta dalla domanda interna, ha risentito soprattutto in via temporanea del lento adeguamento ai nuovi standard europei anti-inquinamento WLTP ((Worldwide Light-Duty Vehicles Test Procedure). Le grandi case automobilistiche tedesche stanno uscendo da questo tunnel che ha frenato le vendite dei diesel, e la produzione è prevista di nuovo in aumento. Sul lungo termine, tuttavia, resta aperta la sfida delle riforme strutturali per adeguare la produzione a nuovi prodotti, le auto elettriche, ibride e guidate dall’intelligenza artificiale.
L’economia tedesca resta dunue forte ma al tempo stesso rimane vulnerabile: «La Germania è un’economia molto aperta, come l’Italia: per questo il rischio maggiore per i nostri due Paesi proviene dal commercio mondiale e dunque dal protezionismo di Trump, al quale l’Europa dovrà saper dare una risposta adeguata». Una prima risposta la sta dando la Bce, mantendo la politica monetaria nel 2019 molto accomodante.