Libero, 12 gennaio 2019
La fedeltà è scritta nel Dna
Che cos’hanno in comune i topi californiani, la rana Ranitomeya imitator del Nord del Perù, il pesce Xenotilapia del lago Tanganica, un comune uccello europeo chiamato Anthus spinoletta e dei piccoli roditori come l’arvicola della prateria, tipica del Nord America? Sono cinque animali che appartengono a classi e specie diverse, e sono tutti e cinque monogami. E, altra cosa che questo eterogeneo gruppo condivide, è avere vicini parenti poligami. I biologi dell’università di Austin, Texas, hanno appena pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences uno studio sulla monogamia tra vertebrati (ovvero, mammiferi, pesci, uccelli, anfibi e rettili) che sostiene come, alla base della monogamia, ci siano gli stessi geni anche per specie animali lontanissime tra loro. Gli scienziati hanno studiato 10 coppie di bestie, le cinque di cui sopra e cinque loro stretti parenti, quattro mammiferi, due uccelli, due rane e due pesci, e hanno analizzato la loro evoluzione nel corso di 450 milioni di anni. Si sono focalizzati sulle loro abitudini di accoppiamento, soprattutto l’espressione dei geni nel cervello del maschio. Gli studiosi hanno definito “monogami” gli animali che mantengono un unico partner per almeno una stagione di accoppiamento e che si prendono cura della prole, “poligami” quelli che hanno più relazioni nella stessa stagione: in genere i maschi non hanno interesse per la progenie perché è la femmina a farsi carico dei cuccioli. L’EVOLUZIONE Secondo il gruppo di ricercatori (diretti da Rebecca L. Young e Hans A. Hofmann), sono 24 i geni che costituiscono la «firma genetica» della monogamia. E sarebbe l’evoluzione, nel corso di centinaia di migliaia di anni, ad aver generato le stesse variazioni genetiche – che da poligami rendono monogami – anche in animali tanto diversi fra loro. Gli americani hanno infatti constatato che, nella storia di una specie poligama, improvvisamente “appare” un esemplare monogamo, che costituisce il primo esemplare di una nuova specie, geneticamente monogama. Rebecca Young, primo autore dell’articolo, riconosce di non sapere come questi geni siano collegati alle inclinazioni monogamiche, ma sostiene che «alcuni di questi 24 geni sono legati all’apprendimento e alla memoria, ed è possibile che formare un legame di coppia o prendersi cura della prole richieda un cambiamento nei processi cognitivi che stanno alla base del comportamento sociale», spiega. «Ad esempio, per creare un legame, un individuo deve essere in grado di riconoscere il suo partner e trovare gratificante essere con lui», aggiunge. CUCCIOLI E ORMONI Se prendiamo, per esempio, la rana monogama Ranitomeya imitator, questa discende, o meglio si biforca a un certo punto della storia evolutiva, dalla specie dendrobate pigmeo, rimasta poligama. Nella prima delle due specie, infatti, sono entrambi i genitori a trasportare i girini da una pozza d’acqua all’altra; nella seconda, invece, se ne occupa unicamente la femmina. Qualcosa di simile accade anche saltando dagli anfibi ai topi: nel cervello dell’arvicola della prateria, contrariamente a quanto accade ad altri animali che sfuggono alla femmina dopo l’accoppiamento, scatta qualcosa che genera un legame che durerà per sempre. Larry Young, ricercatore della Emory University, ha scoperto il segreto: le arvicole hanno dei singolari recettori dell’ossitocina – che funzionano come per noi il meccanismo delle dipendenze – per cui l’animale associa la sensazione del piacere alla presenza di un partner specifico. Nelle cinque specie dello studio, i cambiamenti dei geni associati alla monogamia sono gli stessi, quindi questo comportamento sociale pare avere una firma genetica. «La maggior parte delle persone», aggiunge Rebecca Young, «non penserebbe che, lungo un periodo di 450 milioni di anni, transizioni verso comportamenti così complessi avvengano tutte nello stesso modo». La monogamia, nel mondo animale, ha degli evidenti vantaggi, che vanno dalla condivisione della cura dei piccoli, all’aumento della difesa del proprio territorio fino alla comodità di non dover cercare ulteriori partner (soprattutto nel caso in cui sono scarsi, la coppia riesce ad assicurare la riproduzione). E per questo, i biologi la ritengono il frutto dell’evoluzione della specie.