Avvenire, 12 gennaio 2019
Il nuovo dossier degli orrori in Libia
È già stato acquisito dagli investigatori della Corte penale internazionale dell’Aja l’ultimo rapporto con cui l’Onu aggiorna il campionario degli orrori sui i migranti in Libia: «Privazione della libertà e detenzione arbitrarie in centri ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali».
Mentre fiumi di euro si riversano su governo e milizie perché fermino le partenze verso l’Italia, il segretario generale delle Nazioni Unite ricorda nel dossier inviato al Consiglio di sicurezza, che «i colpevoli sono funzionari statali, gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e bande criminali». Alcuni di questi sono proprio i beneficiari degli “aiuti” materiali ed economici (motovedette, equipaggiamento militare, finanziamenti) che regolarmente da quasi due anni ricevono dall’Italia e da Bruxelles.
Nelle quindici pagine in cui Guterres circoscrive gli episodi più gravi dell’ultimo trimestre, il segretario generale offre un dato che, da solo, spiega la sproporzione tra le risorse investite per bloccare i flussi e il numero effettivo di stranieri in Libia e sui quali le autorità non hanno alcun controllo. «Durante il periodo in esame c’erano oltre 669.000 migranti in Libia, tra cui donne (12% dei migranti identificati) e bambini (9%)», precisa Guterres. Ma sotto il tacco delle autorità – che tuttavia l’Onu non risparmia dalle accuse di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani – se ne contano solo 5.300. Tra essi «3.700 hanno bisogno di protezione internazionale» e dunque meriterebbero di venire trasferiti in Europa. Di tutti gli altri non si sa quasi nulla. La descrizione degli abusi, infatti, «non include i centri di detenzione gestiti da gruppi armati», che per definizione sonoinaccessibili. Il governo di concordia di Tripoli «deve raggiungere il controllo di tutti i centri di detenzione presenti in Libia, scongiurando – si legge ancora – l’influenza o l’interferenza di milizie e gruppi armati». Molti migranti si trovano nelle 26 prigioni comuni del Paese, dove si stima vi siano circa 6.400 detenuti, ma «migliaia di altri» si trovano in centri di detenzione sottratti al controllo del governo libico e non di rado «gestite direttamente dai gruppi armati». Ne ha abbastanza Guterres per scrivere di essere «profondamente preoccupato per il dilagare di violazioni dei diritti umani e degli abusi commessi nell’ambito della detenzione e per la detenzione arbitraria prolungata di migliaia di uomini, donne e bambini».
Un paragrafo piuttosto sbrigativo viene dedicato al vertice di Palermo dello scorso novembre. Al contrario di chi lo ha descritto come un momento di svolta, il segretario generale non usa toni trionfali. E lo riassume con il realismo del politico navigato: «I partecipanti hanno espresso il loro sostegno per l’attuazione degli ultimi elementi del piano d’azione delle Nazioni Unite presentati dal mio rappresentante speciale, e si sono impegnati a fornire assistenza per la formazione delle forze di sicurezza professionali libiche e il loro sostegno all’agenda delle riforme economiche».