La Stampa, 12 gennaio 2019
La rivincita dell’agente matrimoniale
In un mondo dove predominano gli incontri romantici online, a sorpresa tornano di scena le «matchmaker», ossia professioniste che lavorano per far incontrare la persona giusta. Nonostante la popolarità di applicazioni come Tinder, dove potenziali partner sono accessibili con un solo clic, sempre più single diventano insofferenti alla forma moderna di cercare l’amore e richiedono aiuto agli esperti.
Si parla infatti di «dating app fatigue» (la stanchezza nei confronti delle applicazioni di incontri), soprattutto per chi cerca una vera relazione e non incontri fugaci. Inoltre, anche chi trova la persona giusta online, ammette di esserci arrivato dopo tempi lunghi. E allora, se l’idea sembrava divertente all’inizio, si rivela poi frustrante, perché richiede grande sforzo e tenacia, proprio come un vero lavoro.
Dagli Aztechi a oggi
Molti si sentono ancora più soli dopo l’uso delle app. Un articolo di The Atlantic rivela che, per esempio, sull’applicazione Hinge, ben 81% degli utenti non trova una relazione duratura, e solo una su 500 richieste di connessione sfocia in uno scambio di numeri di telefono. Un’altra ricerca su una dating app anonima rivela che il 49% degli utenti non riceve mai risposta. Inoltre, rimangono i problemi di sicurezza con profili falsi o non corretti.
E così, dove falliscono le app, arrivano le matchmaker. La professione risale ai tempi degli Aztechi, e delle antiche civilizzazioni della Grecia e della Cina. Popolare la figura della «yenta» nel folklore ebraico, protagonista anche in una canzone del musical «Il violinista sul tetto» e tuttora operativa in alcune comunità ebraiche ortodosse. In India, dove solo il 10% della popolazione usa le dating app e dove i matrimoni sono al 95% fra membri della stessa casta o comunità, il coinvolgimento dei genitori è fondamentale, e il ruolo di cupido è spesso affidato ai familiari. In Cina invece, il matchmaking è ora un business da un miliardo di dollari, rilanciato dalle donne in carriera con più potere d’acquisto ma con forti pressioni sociali che impongono di non rimanere single.
In America, dove il 57% dei millennial non si è mai sposato, è ancora più proficuo, con guadagni di 2,5 miliardi di dollari l’anno (dato 2015), che diventeranno 3,2 nel 2020. Anche se il 70% del mercato riguarda i siti e le app, rimane una buona fetta di single che usa i professionisti, con 1500 matchmaker che guadagnano in media 200 mila dollari all’anno.
Bonnie Winston, matchmaker di New York, ha capito di avere talento quando accoppiava i suoi amici e conoscenti per divertimento. Dopo vent’anni come agente fotografica, il suo hobby è diventato una carriera a tempo pieno, che ora conta team a New York e a Los Angeles. I suoi clienti sono uomini e donne tra i 27 ai 65 anni, alcuni mai sposati, e altri divorziati o vedovi. «Molti hanno avuto esperienza con le dating app e sono stanchi di scorrere e selezionare profili o inviare messaggi. Senza contare che, quando finalmente sembrano incontrare qualcuno, questo può sparire senza preavviso, il cosiddetto “ghosting”».
Secondo Bonnie, assumere un professionista per cercare moglie o marito è come investire nella propria educazione per trovare un buon lavoro. Le matchmaker promettono un approccio serio e una maggiore probabilità di trovare l’anima gemella. È un servizio costoso, ma come ha detto un suo cliente, si risparmiano soldi e tempo per relazioni fallite. È perfetto anche per chi ha un lavoro di alto profilo e richiede discrezione. Ogni candidato è esaminato per evitare chi ha precedenti penali e poi viene valutato di persona per verificare che non usi vecchie foto, cosa che succede di frequente online.
I candidati
Il processo inizia con una conversazione telefonica con il cliente: «Respingo molti uomini che vogliono usarci per avere incontri occasionali e donne che cercano solo uomini con soldi. La mia reputazione è fondamentale. Cerco di capire quello che è importante per ognuno e quello che non è negoziabile. Se vedo che le loro aspettative sono ragionevoli, seleziono profili di candidati dal mio database e mostro le foto. Ma l’affiatamento è palpabile solo quando le persone si incontrano in carne e ossa».
La raccomandazione di Bonnie per trovare la persona giusta? «Cercare persone buone. Quasi tutti quelli che si affidano a me hanno avuto il cuore spezzato, il loro denominatore comune è quello di aver scelto persone che non li hanno trattati bene. E io ripeto: se hai l’aspetto di un modello/a ma sei brutto dentro non entri nel mio database, e se sei andato ad una università Ivy League ma sei arrogante, neanche».