La Stampa, 12 gennaio 2019
Nel ristorante della figlia di Riina
La musica di sottofondo non è quella del Padrino, ma solo una nostalgica colonna sonora che spazia tra gli anni Settanta e Ottanta, «Rumore» di Raffaella Carrà e «Splendido Splendente» di Donatella Rettore. Sì, «Corleone» potrebbe essere un ristorante siciliano come altri, nati negli ultimi anni a Parigi, sulla scia del boom della gastronomia italiana, fresca e solare (tanto più in questi giorni di gelo e pioggerellina uggiosa). Ma subito fuori, al 19 di rue Daru, sul tendone verde in tinta con l’interno (sobrio ed elegante), vicino a «Corleone» e al leone rampante che stringe un cuore, lo stemma della città, in caratteri stondati e rassicuranti sono scritte quelle parole : «by Lucia Riina».
Lucia Riina? Sì, proprio lei, la quarta figlia, la più piccola, del boss Totò, morto in carcere nel 2017. Su Facebook aveva annunciato un po’ di tempo fa la sua «vita nuova» a Parigi con il marito Vincenzo Bellomo e la figlia che ha poco più di due anni. È lui il proprietario del 10% del ristorante, aperto nel novembre scorso con soci parigini. Ieri a pranzo il locale (appena una trentina di posti) era quasi al completo. Siamo subito dietro al parco Monceau, nell’ottavo arrondissement, quartiere solidamente borghese, senza neanche le derive pacchiane dei vicini Champs-Elysées. Sulla stessa strada, la chiesa ortodossa Alexandre-Nevski: proprio qui, al 19, prima c’era un ristorante russo.
Tra i clienti di «Corleone », francesi che lavorano negli uffici del quartiere (ci sono alcune banche d’investimento) o coppie in là con l’età del genere abbiente (il ristorante è abbastanza caro). Apparentemente non sanno chi sia Riina: né padre, né figlia. La parola Corleone corrisponde forse a un vago ricordo del «Padrino» di Scorsese. Poi, qualche italiano incuriosito da quella strana storia raccontata dai media nei giorni scorsi, compreso un anziano signore di origini siciliane che dice di «non avere pregiudizi». E nessuna particolare caduta di stile, a parte il ripetersi ossessivo sulla moquette della Trinacria, la donna con le tre gambe, che è davvero troppo. La specialità della casa, le orecchiette alla corleonese, spruzzate di aneto, sono perfettamente al dente.
Le polemiche
Ma Lucia Riina, 39 anni, dov’è? Non si sa, presenza latente e invisibile. Il cameriere siciliano in sala è gentile, ma imbarazzato dai giornalisti. «La signora si spiegherà su Le Parisien»: sì, in un’intervista concessa al quotidiano francese, per fornire nuovi dettagli sulla sua «vita nuova». Intanto, silenzio stampa. Bisogna accontentarsi di alcuni dipinti sui muri, opere della signora, che dipinge, compreso un quadro (in vendita, ma non si è capito bene a quanto), che raffigura una donna con una bambina, a probabile connotazione autobiografica. Prima che scattasse il silenzio stampa, qualche elemento era venuto fuori. I principali soci, coinvolti nella Luvitopace, la società che controlla il ristorante, sono due. Uno è Pierre Cédric Duthilleul, ristoratore conosciuto, proprietario fra gli altri del Griffonier di rue des Saussaies, non lontano di qui. È vicino al ministero degli Interni, riconosciuta «mensa» d’alto livello dei pezzi grossi della polizia francese (continua il lato surreale della vicenda).
L’altro socio è Pascal Fratellini, gestore di alcuni locali notturni, compresa una nota discoteca in una traversa degli Champs-Elysées. Fa parte di una dinastia di origini fiorentine, che portò la tradizione italiana del circo a Parigi nel lontano 1878. Fratellini ha raccontato a Le Monde la «triste storia» di Lucia Riina, «che in Italia è la figlia del diavolo». «Per caso su Internet ho letto alcune sue dichiarazioni: lo Stato italiano gli aveva negato il bonus bebè, perché figlia di Totò Riina. Ho visto che dipingeva. Le ho comprato un quadro e abbiamo simpatizzato. Alla fine sono andato a incontrarla con la sua famiglia a Corleone». Da lì, l’aiuto per rifarsi una vita, dove non la conosce nessuno.
Ma allora, perché quel «by Lucia Riina»? Ce n’era proprio bisogno? L’associazione esplicita a Corleone ha già scatenato la rabbia di Nicolò Nicolosi, sindaco della città, che ha definito «devastante l’accostare il nome di Corleone a quello di mafiosi». Quanto a Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia il 23 laggio 1992, ha specificato che «Lucia Riina è una libera cittadina, non ho nessun commento da fare sulla sua decisione di aprire un ristorante. Poi sta alla sensibilità del singolo cittadino decidere se andarci o meno». Fratellini si giustifica con il fatto che «negli Stati Uniti, ci sono ristoranti che si chiamano Al Capone, Lucky Luciano o Soprano». Intanto, ieri, alla fine della pausa pranzo, una donna con una bambina si è materializzata nel ristorante. La Riina abiterebbe proprio lì vicino e avrebbe anche un atelier dove dipingere. La presenza latente è diventata d’un tratto visibile. In questo gioco di strane ambiguità, dove tutti cercano di guadagnarci un po’.