la Repubblica, 12 gennaio 2019
Miseria o nobiltà, parlano le forchette
Gli oggetti hanno molto da dire. Tutti, anche gli utensili da cucina. Ben lo sapeva Bruno Munari che già nel 1958 con le sue forchette parlanti scovava l’inconsueto nell’ordinario. Davide Dutto, fotografo piemontese di food, lo ha capito quando per caso, nelle cucine di Pino Cuttaia, ha visto una forchetta allargata. «È un ricordo di famiglia – ha spiegato lo chef siciliano – ma è anche una tradizione delle famiglie del sud Italia nel dopoguerra». All’epoca in tavola si metteva tutto il cibo, senza fare porzioni, che per quelle c’era bisogno di abbondanza. «Prendere più forchettate di una stessa pietanza era visto male. Per questo si allargavano i rebbi della forchetta: per prendere più cibo con un gesto solo». Ascoltata la storia, Dutto decide di lasciare fuori dall’inquadratura cibi, cucine e chef, avvicinando per una volta il suo obiettivo alle sole posate. Nasce così il progetto fotografico NoTools, il cui primo capitolo – Fork1 – è in mostra a Palazzo Saluzzo Paesana di Torino dal 17 gennaio al 3 febbraio. Quaranta fotografie di forchette, quaranta storie diverse. Ci sono i 10 kg di posate, fatte recuperare dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, nelle cucine di case famiglia, mense scolastiche, centri di accoglienza, residenze per tossicodipendenti. C’è la forchetta nobile dimenticata da un cliente di Luisa Pandolfi, un uomo elegante seduto in fondo alla sala de Le Vitel Etonné di Torino e quella di Maria, la storica cuoca dell’Osteria Veglio di La Morra (Cn), che l’aveva allargata per impiattare più velocemente chili e chili di tajarin.
Alcune delle posate ritratte sono anonime, trascinate davanti all’obiettivo da una coincidenza, altre sono il simbolo della Storia, quella con la maiuscola. È il caso delle posate di Vito Andresini, un direttore alberghiero amico di Dutto. Il nonno della moglie, Guido Loberti, prigioniero di guerra, tornò da Besançon con il set di posate che usava nelle cucine. O della forchetta disseppellita dall’oste Davide Rabbia (trattoria Roma di Cuneo) a Paraloup, borgo di montagna sul crinale che separa la Valle Stura dalla Valle Grana, il luogo dove i partigiani di Giustizia e Libertà fecero la Resistenza, Il mondo dei vinti di Nuto Revelli. Rabbia girovagava tra queste baite con il metaldetector quando trovò una vecchia forchetta, appartenuta quasi sicuramente a un eroe della lotta antifascista. Per lui «è un cimelio da conservare e osservare in silenzio». Per Dutto è un tassello importante del suo progetto. Per chi la osserva è la dimostrazione di un’altra grande lezione di Bruno Munari: l’oggetto e il suo design non hanno solo una valenza estetica o funzionale, sono il simbolo di una società in un determinato periodo storico.