Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 12 Sabato calendario

Gli hedge fund vincono la scommessa contro l’Italia

L’anno chiuso è stato il peggiore dal 2011 anche per gli hedge fund, la nicchia degli investitori più spregiudicati nel cercare opportunità globali. Del resto i listini si sono girati in negativo chiudendo l’anno meno soddisfacente dal 2008: con Piazza Affari in calo del 16%, la Germania poco peggio e perfino Wall Street in flessione. Proprio per questo, tuttavia, i gestori protagonisti di puntate “contrarie”, in un mercato anestetizzato da anni di liquidità delle banche centrali, hanno guadagnato a doppia cifra. E una delle scommesse meglio pagate, neanche dirlo, ha riguardato i guai politici europei, Italia compresa: lo scivolone successivo all’arrivo del governo Conte, che da maggio ha schiantato il Ftse Mib e spinto lo spread sul Btp riportando la volatilità dei tempi grami.
Quando a febbraio il gigantesco hedge statunitense Bridgewater mise 22 miliardi di dollari dei suoi 160 sulle vendite allo scoperto di grandi società ( compresa Intesa Sanpaolo) e debiti sovrani d’Europa (compresi i Btp), la maggior parte degli investitori ancora si beava sull’onda lunga dei rialzi targati Bce. Il carismatico fondatore Ray Dalio aveva appena parlato di «fine della fase rialzista globale»; ora ha fatto i conti dell’anno e si è visto che il fondo Bridgewater Pure Alpha ha guadagnato il 14,6%. Simili strategie sembra abbia condiviso – il condizionale è d’obbligo perché i gestori hedge non dicono mai dove investono e non vanno in branco Brevan Howard, altro colosso Usa che ha chiuso il 2018 con un + 12% sul Master fund. Meglio di tutti però ha fatto Crispin Odey, finanziere britannico che dal 1992 guida l’omonimo fondo con piglio ribassista, e l’anno scorso ha guadagnato il 53% sull’European fund, che utilizza una frazione dei 5 miliardi gestiti. Dalla newsletter di Odey ai clienti emerge che gli affari migliori sono venuti dalle vendite al ribasso di banche europee, beni di consumo e tecnologici, oltre che di titoli governativi britannici ( il gestore è un noto fan di Brexit). Il fondo ha comprato invece oro, materie prime ed energia, oltre a una fetta di Sky, poi oggetto dell’asta miliardaria vinta da Comcast.
«I mercati scontano una recessione, benché forse si siano mossi in anticipo – ha scritto Odey ai clienti – e per questo nel breve periodo potrebbero un po’ riaversi. Ma le nuvole annunciano tempesta: rischi di controparte in crescita, politica fragile e rapace, forti tensioni commerciali e geopolitiche prefigurano una congiuntura che colpirà duramente i profitti aziendali». Per questi motivi, e proprio mentre le banche centrali iniziano a ridurre le leve del credito facile, Odey vede «un 2019 in cui le Borse saranno un buon posto per i trader, non per gli investitori. Il mondo inizierà a pagare gli effetti di anni di risorse sprecate e a poco prezzo: i governi continueranno a mostrarsi vulnerabili, specie dove il ceto politico è poco rappresentativo». Chi conosce il gestore sa che parla anche dell’Italia, paese che in un’intervista di ottobre definì «ininvestibile». Solo i mercati sudamericani, per Odey, «continueranno a fare meglio degli altri».
L’anno da incorniciare dei ribassisti – che spesso però gli anni prima scorsi persero a doppia cifra mentre i listini salivano spinti da Fed e Bce – è, all’opposto, un anno cattivo per gran parte dei colleghi. L’indice globale di Hedge fund research ha perso nel 2018 il 4,1%, e -6,7% ha fatto l’indice Hfrx global hedge fund. Si tratta però di una media del pollo trilussiana: perché l’ampia libertà di movimento di questa” industria” finanziaria, che gestisce oltre 3mila miliardi di dollari di selezionati clienti (che pagano fino al 5% annuo i servizi), contiene tutto e il suo contrario. C’è chi l’anno scorso ha perso un terzo o più del patrimonio, facendosi trovare troppo esposto sugli indici azionari. C’è chi ha puntato sulle scommesse sbagliate, come Atlantic Investment’s Cambrian (- 35%). Anche il finanziere italiano Davide Serra, malgrado una politica di diversifizione del portafoglio fuori dall’Europa, ha avuto poco fiuto nel 2018: il suo Algebris Macro credit, che opera soprattutto sull’obbligazionario, ha perso il 10,8%. Magra consolazione finale, per i gestori: l’hedge fund peggiore del 2018 è stato Qim’s tactical aggressive, un fondo della Virginia con strategie” quantitative”, ossia elaborate da algoritmi e sistemi. Talmente razionale che ha chiuso l’anno sotto del 42%.