la Repubblica, 12 gennaio 2019
Gli animali ispirano l’hi-tech
È un maestro di volo come il gabbiano a suggerirci come costruire droni e aeromobili più stabili e sicuri: basta ispirarsi al brillante design delle sue ali, come mostra uno studio pubblicato sul “Journal of the Royal Society Interface” da zoologi dell’University of British Columbia e ingegneri aerospaziali dell’Università di Toronto, che hanno usato per i loro esperimenti una galleria del vento. Trovando che quando i gabbiani, volando a bassa quota, hanno bisogno di aumentare la manovrabilità per veloci incursioni a caccia di pesci, modificano la sagoma dell’ala piegando leggermente il gomito, accorgimento che rende più resistenti anche a folate improvvise.
L’ala viene poi estesa al massimo, ammorbidendone gli angoli, quando il gabbiano vola in alta quota e la stabilità del volo planare, che consente di risparmiare energie, diventa l’esigenza più importante.
«La forma dell’ala del gabbiano ci suggerisce ali dotate di una giuntura simile, che facilitino l’adattamento dinamico dei velivoli a condizioni di turbolenza atmosferica, senza bisogno di grandi alettoni», commenta Douglas Altshuler, coautore dello studio. Miracoli della biomimetica, ovvero la scienza che studia le soluzioni naturali ai problemi della sopravvivenza di animali e piante per migliorare le prestazioni degli oggetti prodotti dall’uomo. «Bisogna riconoscere che la natura parte avvantaggiata: ad esempio il gabbiano è molto leggero e la potenza che esercita per volare è di pochi Watt, quindi basta un sistema elastico di muscoli e tendini per cambiare l’angolo dell’ala e la portanza in aria», spiega Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia. «Un’ala altrettanto mobile su un aereo porrebbe invece molte complicazioni, per via dei pesanti motori idraulici che dovremmo aggiungere per modificare la geometria dell’ala. Però è un’idea che può funzionare benissimo sui droni, visto che hanno una taglia grossomodo paragonabile a quella di un gabbiano: basta dotarli di piccoli tiranti elastici in grado di piegare l’ala. Potremmo dire che la soluzione, in natura, esisteva almeno da 3 miliardi di anni. E che soltanto oggi possiamo capirla e utilizzarla visto che siamo riusciti ad arrivare, da mezzi volanti che richiedevano grandi superfici alari, alle dimensioni molto più ridotte dei droni».
Un altro animale che può insegnarci qualcosa è il geco. «Riesce a camminare senza sforzo in verticale, e sul soffitto, perché le squame dei suoi polpastrelli aumentano la superficie di contatto con i muri e quindi si possono esercitare forze di adesione che prevalgono sulla gravità», sottolinea Cingolani. «Purtroppo non possiamo trarne guanti che ci diano i poteri dell’Uomo Ragno (perché se la taglia aumenta, la massa cresce più rapidamente della superficie appoggiata, e quindi la forza di gravità vince su quella di adesione ndr). Però si può riprodurre la microstruttura dei polpastrelli del geco su piccoli robot arrampica-muri utili a fare esplorazioni in ambienti inesplorabili dall’uomo».
Progettare robot senza ispirarsi agli animali, oggi, sarebbe una follia. «All’Istituto Italiano di Tecnologia lavoriamo moltissimo sulla locomozione di bipedi e quadrupedi: in particolare la capra e il cane», spiega Cingolani. «Al di là di tutte le strategie che si possono trovare con l’elettronica, i giroscopi, i motori e l’idraulica, alla fine abbiamo capito che bisogna copiare il bilanciamento dinamico delle capre e dell’uomo: come viene poggiata la caviglia, come si muove l’anca e così via. Perché sono soluzioni ormai talmente ottimizzate, sia per consumo d’energia che per stabilità, che – se si rimane in quel rango di dimensioni e di potenza – sembra molto difficile scoprire qualcosa di meglio di ciò che ha escogitato la natura».