Corriere della Sera, 12 gennaio 2019
Recessione, i frutti di una ripresa fragile
Giunte alle soglie della terza recessione in dieci anni, l’area euro e l’Italia raccolgono i frutti dei loro squilibri: quelli di una ripresa sbilanciata dall’inizio, destinata a perdere colpi al primo vento contrario. Per l’Italia è una vicenda fin troppo nota, in parte in continuità dagli scorsi governi all’attuale. Il calo di 10,2 miliardi in costi per interessi sul debito dal 2014 al 2018 è stato usato, almeno in parte, per spese di sostegno dei consumi che non rafforzano la capacità del Paese di produrre di più e creare più posti di lavoro. Nel frattempo il dividendo di minori oneri sul debito, permesso dagli interventi della Banca centrale europea, si è esaurito: dopo aver limato gli interessi sul debito appunto di dieci miliardi in cinque anni – secondo i dati della Commissione Ue – l’Italia si rimangerà già nel 2019 metà di quei risparmi solo per le scelte che dei leader hanno fatto salire il rischio-Paese sui mercati. Eppure il governo prosegue e accentua la tendenza tradizionale nel Paese di usare le risorse in bilancio in benefici diretti agli elettori, non del sistema produttivo che dovrebbe dare lavoro. Dunque la spesa pubblica torna a salire e le tasse sulle imprese anche: come un corpo senza difese, l’Italia rischia la polmonite ai primi freddi nell’economia globale ora che la Bce la sostiene di meno. A maggior ragione, perché si trova in un’area euro che sconta a sua volta i propri errori. Anche la Germania e l’intera zona monetaria ormai rischiano una recessione che non nascerebbe all’improvviso: l’erosione della fiducia delle imprese e nel ritmo della ripresa inizia da fine del 2017 e prosegue, sempre più giù, fino ad oggi. In parte ciò rivela quando l’Europa abbia ancora bisogno della spinta della Bce. In parte mette a nudo gli squilibri di un’area euro cresciuta dal 2012 in poi prevalentemente sull’export, sfruttando la domanda del resto del mondo e lasciando esplodere il surplus con l’estero. Senza investire abbastanza. Inevitabile che proprio l’area euro fosse vittima designata delle guerre commerciali fra Cina e Stati Uniti: lei stessa ha scelto di delocalizzare i motori della propria ripresa ai suoi clienti nel resto del mondo.