Corriere della Sera, 11 gennaio 2019
Le due Coree insieme verso i Giochi estivi 2032
Un anno fa, oggi, la Corea sembrava lontanissima. Mancava meno di un mese all’Olimpiade invernale di Pyeongchang (Corea del Sud) e da Pyongyang (Corea del Nord), attraverso il 38° parallelo, soffiavano giù sulla provincia del Gangwon raffiche gelide di tensione. Un’Olimpiade da non fare, diceva mezzo mondo (occidentale). Siamo senza un piano B, rispondeva il Comitato olimpico internazionale: see you soon in Pyeongchang. Siamo andati. E abbiamo visto il mondo cambiare.
È di questi giorni l’annuncio di Do Jong Hwan, ministro dello sport sudista: «Basket, canoa e canottaggio femminili avranno squadre miste tra Sud e Nord ai Giochi estivi di Tokyo 2020. Tennis tavolo, judo e un’altra manciata di discipline sono allo studio». E non è uno scenario irrealistico la sfilata comune delle due Coree alla cerimonia di inaugurazione dentro lo stadio olimpico della capitale giapponese, il 24 luglio 2020. Ma la notizia più incredibile è il progetto concreto di una candidatura congiunta, Seul più Pyongyang, per i Giochi estivi 2032, i primi disponibili dopo la lottizzazione con cui il presidente del Cio Thomas Bach ha spartito tra Parigi e Los Angeles quelli 2024 e 2028. Impensabile fino a un anno fa, oggi. «I Giochi di Pyeongchang ci hanno portato i valori olimpici – spiega Do Jong Hwan – e spero che il vento della pace continui a soffiare a lungo sulla penisola coreana e sull’Asia».
Il miracolo dello sport colpisce ancora. Dalla diplomazia del ping pong (la squadra americana invitata a Pechino nel 1971 dal Partito comunista di Mao Zedong aprì la strada alla visita in Cina del presidente Nixon l’anno successivo) sono passati 48 anni ma il potere taumaturgico di un triplo Axel (Ryom Tae Ok e Kim Ju Sik, pattinatori di artistico a coppie, gli unici atleti nordcoreani qualificati di diritto a Pyeongchang 2018) o di un gol (la Corea di hockey femminile agli ultimi Giochi era una squadra mista) colpisce ancora. E cambia – letteralmente – il corso della storia.
Dalla stretta di mano in mondovisione tra la sorella del dittatore del Nord, Kim Yo-yong, e il presidente del Sud, Moon Jae-in, è successo di tutto. Il 29 marzo 2018, un mese dopo l’Olimpiade di Pyeongchang, Thomas Bach ha fatto da apripista: è volato a Pyongyang per una visita informale di tre giorni, da cui sono scaturiti precipitosi segnali di disgelo. Il 18 settembre Kim Jong-un ha ricevuto con un abbraccio Moon a Pyongyang, terzo vertice tra i leader delle due Coree, il primo nella capitale del Nord. In quell’occasione sarebbe nato il progetto della candidatura congiunta ai Giochi 2032, confermato da Moon con quattro parole rivoluzionarie: «Siamo d’accordo di collaborare».
Il nemico necessario, il dittatore della Corea del Nord capace di minacciare gli Stati Uniti di Donald Trump con i test missilistici proseguiti per tutto il 2017, nel volgere di pochi mesi è diventato il miglior nemico con cui immaginare un’Olimpiade a due piazze. Tutto, in vista dell’assegnazione del Cio prevista nel 2025, è ancora da decidere: la spalmatura di discipline tra Seul e Pyongyang, la sede delle cerimonie (una per uno?), la volontà di ricezione della capitale del Nord (atleti, media, tifosi), non esattamente nota per la sua accoglienza.
L’improvvisa disponibilità di Kim Jong-un, strozzato dalle sanzioni americane, fa comodo a molti. Nel nome dello sport, e del business. Le due Coree corrono veloci contro le ipotesi tedesca (Dusseldorf), australiana (Brisbane), indiana (Nuova Delhi o Mumbai), sudafricana (Durban), cinese (Shanghai) e indonesiana (Giacarta). Se Milano-Cortina già sembra un piccolo sogno, le due Coree li battono tutti.