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 2019  gennaio 11 Venerdì calendario

Isotta spiega chi volle la mattanza della Grande Guerra

Il 2018 è stato il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, quella che Ernst Nolte chiama il primo atto della guerra civile europea: la seconda non è stata che la prosecuzione della prima, e il trattato di Versailles è la prima causa che ne pone le premesse. Sia per le follie compiute per creare sulla carta nuove e artificialissime nazioni, sia per come vennero inumanamente conculcate le vinte, sia per come venimmo trattati noi, di nome vincitori ma in fatto depauperati come sconfitti. Alle ferite aperte e secolari se ne aggiunsero di nuove. La massima di Scipione, uno dei più grandi e più illuminati condottieri della storia, è stata nel Novecento sempre calpestata: bisogna vincere e mai stravincere. Sui prodromi della guerra esiste una vasta letteratura storica. Le classi dirigenti vennero prese da una sorta di follia collettiva, che si univa agli interessi, industriali e no, di gran parte di esse, a scatenare il conflitto, e forse persino a prolungarlo. Da follia vennero presi anche Mussolini e d’Annunzio, i quali furono interventisti, per idealismo e ambizione il primo, per idealismo e superomismo il secondo. Ma d’Annunzio fu valorosissimo combattente, e i suoi scritti di guerra blaterano meno di quelli di Thomas Mann, sull’opposta barricata. Per la prima volta, salvo le controversie teologiche dei primi secoli del cristianesimo, il nemico incarnò il Male Assoluto. Alla follia collettiva si sottrassero poche grandi figure: in Italia Benedetto Croce e quello che ancora gode di una storiografia controversa, Giovanni Giolitti: per me uno dei nostri veri statisti. In Francia soprattutto Romain Rolland, il grande storico della musica e romanziere. Questi dovette addirittura esulare, come lo dovette Stefan Zweig. Nelle meravigliose Memorie intitolate Il mondo di ieri la descrizione della pazzia contagiante l’Europa è vivida come in poche altre pagine; e l’Autore mostra che i pacifisti delle due parti rischiavano concretamente la condanna a morte per alto tradimento. Un discorso a sé meritano le classi militari. I comandanti d’esercito e gran parte dei generali e molti ufficiali erano macellai dominati da un insieme di ottusità e ferocia. Basta, per comprenderlo, leggere una biografia di Cadorna, che guidava il nostro esercito, fatto di pazienti eroi sacrificantisi inutilmente; o una storia della rotta di Caporetto. I veri nemici dei fanti erano i marescialli e i generali. Essi di continuo comandavano di sparare sulle truppe proprie, persino di bombardarle, sol se esitassero a uscire dalle trincee per esporsi all’artiglieria e ai gas e a una morte certa. Un piccolo, aureo libretto di Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, racconta la vita quotidiana nelle trincee, i soldati mandati a morire per ostinazione e capriccio, la vanità dei generali quasi crescente col crescere del numero di caduti propri. Da questo libro è stato tratto un dei migliori films di Francesco Rosi, Uomini contro. La denuncia della guerra, e di come era condotta, ha fatto nascere capolavori del cinema. Dal primo All’ovest niente di nuovo, tratto dal libro di Erich Maria Remarque, del 1930, di Lewis Milestone: e venne censurato in molti Paesi, a cominciare dal nostro. A Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, del 1957, che mostra come si svolgesse la guerra vista dai francesi. A Per il re e per la patria di Joseph Losey. Non si saprebbe quale fra le gerarchie militari fosse meno composta di macellai. 

VITTIME E CARNEFICI
Le vittime principali, oltre la truppa, erano gli ufficiali inferiori, richiamati o volontarî. Da noi venne falciata la parte migliore della borghesia, sinceramente patriottica. I libri e i films sono concordi nel mostrare i crescenti disagio e dissenso, in ogni esercito, di questi ufficiali, di fronte all’assurdo nel quale erano costretti a vivere e al quale dovevano contribuire. Il capolavoro fra tutte le pellicole è per me La grande illusione di Jean Renoir. Questa apre interrogativi addirittura metafisici, pur se sia percorsa da una vena anche leggera e satirica. Il sommo regista era figlio di un sommo pittore; ed è a me carissimo per essere stato il solo capace di trarre una riduzione cinematografica di valore dalla Madame Bovary di Flaubert: uno dei più alti romanzi mai scritti, e contro il quale si sono rotte le corna tutti gli altri cineasti, compreso Chabrol, il quale nel suo film cade in veri errori di grammatica e non può essere a Renoir nemmeno paragonato per elevatezza di stile.

LE MEMORIE
Un altro splendido libro di memorie è Goodbye to All That, Addio a tutto questo (1929), di Robert Graves, ripubblicato dalla Adelphi nel 2016. Graves, nato a Wimbledon nel 1885, nipote per parte materna del grande storico tedesco Leopold von Ranke, era di origine irlandese e venne arruolato nel 1914 mentre era iscritto all’università di Oxford. Nel 1929 lasciò per sempre il suo Paese per trasferirsi a Majorca. Erano tempi nei quali uno scrittore poteva ancora vivere del suo lavoro; e Graves, filologo classico e mitologo, non era un romanziere facile. A romanzi eruditi come Io Claudio e Il divo Claudio, dedicati al mondo imperiale romano, o a quello sul condottiero bizantino Belisario, unisce fittissime e dotte ricerche di mitologia, come I miti greci e La dea bianca. La prima parte delle Memorie riguarda soprattutto l’educazione scolastica nelle cosiddette public schools, ossia i collegi privati. Egli spiega che il sistema sul quale si basavano, e si sarebbero continuate a basare, rafforzava l’omosessualità di chi ne aveva l’istinto, e la provocava in chi non ne portava la nativa tendenza. Tutta la upper class ne era intrisa. Eppure era ancora un grave reato, vieppiù perseguito in guerra. La parte principale è un racconto d’imparagonabile forza, e del tutto tremendo, delle trincee. Il gas, l’ossessione delle bombe e della mitragliatrice, gli assalti nella terra di nessuno, il fango, i parassiti, i topi, gli escrementi; e il sadismo degli ufficiali superiori; e le fucilazioni e decimazioni per codardia o insubordinazione. Tutto Questo, ciò a che egli dà l’addio, nasce anche da psicopatia e ne produce: egli narra che, gravemente ferito e dato per morto, continuò per anni a essere perseguitato da ossessioni, incubi, allucinazioni. Riguarda milioni di combattenti di tutte le parti. Eppure, vi si trae la vivida immagine dell’infinita capacità che ha l’uomo di adattarsi a tutto: nel male, intendo, ché “del bene si stucca”, dice Machiavelli. La nascita e lo svolgimento della Prima Guerra Mondiale, ma forse di ogni guerra, si possono commentare solo con la sentenza di Sofocle: «Il dio fa prima uscire di senno coloro che vuol perdere».
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