La Stampa, 11 gennaio 2019
Gli italiani morti sul Titanic
Un giovane a servizio di una benestante americana e un garzone del ristorante di bordo sono gli ultimi due italiani identificati a bordo del Titanic, colato a picco in una gelida notte di quasi 107 anni fa. Un «cold case» ancora aperto che dal 1985 appassiona Claudio Bossi. È sua la scoperta delle identità di Carlo Fey e Sante Righini, il primo piemontese, l’altro emiliano. Lo scrittore originario di Cravagliana aveva già certificato la presenza sul Titanic di 38 italiani. Si trattava in prevalenza di personale del ristorante di bordo, e solo in piccola parte, passeggeri.
Dall’oblio ora emergono altri nomi. Purtroppo la trascrizione non corretta dei dati anagrafici ha impedito a Bossi di scoprire prima queste persone. Ora grazie alla sua decisione di ampliare ulteriormente le ricerche per acquisire altri elementi per arricchire la ricostruzione dell’elenco di italiani presenti a bordo, si possono aggiungere altri due nomi e due storie. Si tratta di Sante Righini (classe 1883) di Pisignano di Cervia e Carlo Fey (classe 1893) di Vestignè (Torino).
L’emigrato e lo sguattero
«Il primo era emigrato in America nel 1903 e si trovava come passeggero sul transatlantico al servizio di una benestante vedova americana, che, va da sè, viaggiava in prima classe. Il secondo era un umile ragazzo che, partito con il padre dalle colline del Canavese per l’Inghilterra, qui aveva trovato un lavoro e il 6 aprile di quel 1912 aveva firmato il contratto come sguattero per l’esclusivo Ristorante “À la carte” nave gestito dall’italiano Luigi Gatti».
Gatti fu, tra le vittime italiane, il personaggio di maggior spicco. «Morì pure il capo cameriere, un tale Nannini – spiega ancora Bossi -, della provincia di Firenze. Tengo a precisare che gli altri camerieri, cuochi e aiuti di sala o di cucina, erano quasi tutti molto giovani: poco più, e poco meno che ventenni»
Anche Righini e Fey furono vittime degli eventi e il loro nome finì nell’anonimato degli abissi. Solo la curiosità e la voglia di verità hanno permesso a Bossi di scoprire queste due vittime: «Sono partito dal presupposto che alcuni camerieri italiani erano stati trasferiti all’ultimo momento dalla nave gemella Olympic al Titanic, senza che il loro nome venisse registrato. Sono andato a rileggermi le scarne informazioni sui quotidiani dell’epoca. Hanno fatto il resto un incontro fortunato con la persona giusta e uno scambio di informazioni». Bossi allude, per il caso di Carlo Fey, al sindaco di Burolo, Franco Cominetto, che gli ha fatto superare quelle «storpiature», come le definisce il ricercatore, di stampa dell’epoca. Per Righini le cose sono andate un po’ diversamente. Solo grazie alla sua perseveranza lo storico ha sondato i vari archivi per appurare che era un italiano. Il Titanic continua a essere un «cold case»: «Nella sua massa ferruginosa e un po’ sinistra, si trova ancora in assetto di navigazione e, a 3810 metri di profondità, è adagiato sul fondo dell’Atlantico. E ogni tanto dalla sua tomba lascia venire a galla una bolla di verità sulla sua tragica fine. Il Titanic respira».