Avvenire, 10 gennaio 2019
Robot e sottomarini. Le mani di Pechino sui mari
Una base sottomarina a profondità impensabili, nelle quali l’uomo non ha mai immaginato – fino ad ora – di spingersi. E non in acque “innocue” ma nel Mar Cinese meridionale, probabilmente il più conteso del pianeta, con sette Paesi che avanzano su di esso rivendicazioni contrastanti. Siamo nel campo della realtà futuribile o in quello, più ardito, della fantascienza? Una cosa è certa: il roboante annuncio del Dragone – decisamente in linea con la passione tutta cinese per la pianificazione in grande stile – è un’ulteriore, minacciosa, tappa di una strategia ben più ampia: “marcare” il Mar Cinese meridionale. Farne, a tutti gli effetti, un “lago” cinese. Il progetto della base (che sarà un punto d’appoggio solo per sottomarini senza equipaggio a bordo) è stato lanciato dall’Accademia cinese delle scienze di Pechino, a inizio dicembre, dopo la visita nel mese di aprile dal presidente cinese Xi Jinping all’istituto di ricerca di Sanya, provincia di Hainan. Xi ha invitato gli scienziati e gli ingegneri a osare e fare qualcosa che non è mai stato fatto prima: «Non c’è una strada in alto mare, non abbiamo bisogno di inseguire altri Paesi, siamo noi a dover tracciare la strada». La zona che ospiterà la base sottomarina potrebbe avere una profondità di 6mila-11mila metri (da 19.685 a 36.100 piedi). Il progetto costerà ai contribuenti cinesi qualcosa come 1,1 miliardi di yuan (160 milioni di dollari). Non solo. Il progetto – che nasce sulla carta con intenti scientifici, a partire dalla esplorazione degli abissi – prevede l’utilizzo massiccio di robot sottomarini: siamo insomma, nelle intenzioni cinesi, nel campo dell’intelligenza artificiale, una frontiera in gran parte ancora vergine e inesplorata.
Come si concretizzerà il progetto? Si tratterà di una vera e propria “colonia” sottomarina. Uno degli scienziati coinvolti nell’operazione ha spiegato alSouth China Morning Post le difficoltà che dovranno essere affrontate: «In pratica sarà come costruire una colonia su un altro pianeta. Verrà impiegata un tipo di tecnologia che può cambiare il mondo». Un altro scienziato ha descritto il progetto come «più difficile della costruzione di una stazione spaziale».
Ma cosa spinge il colosso asiatico a impegnarsi in un progetto tanto avveniristico (e azzardato)? In gioco, in realtà, c’è qualcosa di molto concreto. Controllare l’accesso al Mar Cinese meridionale significa dominare una delle rotte commerciali più importanti e trafficate del mondo. Attraverso le sue acque transita un terzo delle spedizioni globali, per un valore di oltre 3mila miliardi di dollari nel 2016. Nella cifra sono comprese 874 miliardi di dollari esportazioni cinesi, 125 miliardi di dollari importazioni statunitensi nella regione. La rapida espansione della Cina nel Mar Cinese meridionale è una delle ambizioni, mai nascoste, del presidente cinese, Xi Jinping. Nello scorso mese di aprile, ritto in piedi sul ponte del cacciatorpediniere cinese Changsha, il leader cinese si è concesso una delle più grandi esibizioni di forza militare nella storia del Paese. Una straordinaria dimostrazione del potere navale di una nazione, che in silenzio e con tenacia, ha investito ingenti somme di denaro per modernizzare la sua flotta giudicata obsoleta. La sua capacità di competere sui mari sta accelerando rapidamente. La marina cinese ha lanciato la sua seconda portaerei nell’aprile del 2017, mentre una terza è attualmente in costruzione. In un solo giorno, nel luglio 2018, Pechino ha lanciato due nuovi cacciatorpedinieri, altamente sofisticati, per potenziare la sua impressionante flotta. L’espansione della flotta del Paese e la rapida militarizzazione delle isole artificiali costituiscono un messaggio quanto mai chiaro spedito ai rivali che affollano la regione: il Mar Cinese meridionale «deve essere solo cinese». E che Xi Jinping non sia (più) disposto a velare le sue intenzioni belligeranti, lo dimostrano le parole spese dal presidente cinese lo scorso 5 gennaio dinanzi ai più alti funzionari della Commissione militare centrale, presieduta dallo stesso Xi e trasmesse, peraltro, sulla televisione nazionale. Le forze armate cinesi devono pronte «a una lotta militare globale. La preparazione alla guerra e al combattimento deve essere migliorata per garantire una risposta efficiente in tempi di emergenza», ha sottolineato Xi Jinping. Un monito sinistro per il mondo.