Corriere della Sera, 10 gennaio 2019
L’udienza e gli interpreti inadeguati
Il processo agli imputati celebrato con l’interprete messo a disposizione del Tribunale dagli imputati. Si esce dalla surreale video-conferenza in inglese dalla Nigeria di due testi nel processo per corruzione a carico di Eni e Shell, e viene da chiedersi: ma se il Tribunale ha dovuto rassegnarsi a mandare via l’interprete per inadeguatezza rilevata tanto dai pm quanto dai difensori, e chiedere agli imputati della Shell di «prestare» per questa udienza il proprio stuolo di traduttrici (che al pari di Eni integra la squadra di mega avvocati e super consulenti mobilitata ad ogni udienza di questo processo attorno a un affare da 1,3 miliardi di dollari), allora che cosa succederà ogni giorno nei processi «normali» dove non ci sono imputati ricchi e super difesi? Dove bisogna tradurre lingue meno comuni dell’inglese? Ad esempio nel girone infernale delle «direttissime», là dove la corretta ricostruzione della dinamica di un fatto in strada può fare la differenza tra la condanna ad anni di carcere o l’assoluzione? Ieri l’interprete inizialmente chiamata dai giudici nemmeno si presenta, la seconda ingaggiata all’ultimo momento va subito ko, e per le prossime udienze il Tribunale, «vista la difficoltà di trovare» interpreti affidabili, chiede a Shell se possa continuare a prestargliele (no grazie, risponde Shell, in futuro le nostre traduttrici servono a noi). Ci si rivede per la prossima videoconferenza tra una settimana in aula. Forse. Perché a Milano ci sono solo tre aule «attrezzate», si fa per dire: ieri le voci arrivavano poco, male, disturbate, e il collegamento era faticoso e instabile, proprio come solitamente (e inutilmente) lamentano i legali nei processi di mafia. Non una gran bella figura italiana in Nigeria. Che pure, però, ci mette del suo quando in udienza l’Eni lamenta che l’organismo anticorruzione della Nigeria abbia convocato nella propria sede i testi nigeriani due giorni prima «in preparazione della testimonianza». Protestano i legali Eni già sulle barricate per alcune incongruenze formali nei dati identificativi dei testi, asserendo la non neutralità della circostanza in quanto la Nigeria è parte civile contro Eni e Shell. I giudici rispondono di non aver modo di capire se i nigeriani abbiano intrattenuto quei pre-contatti coi testi «nell’ambito di un’attività meramente organizzativa» della videoconferenza oppure «in anomale attività integrative d’indagine non delegate»: per il futuro invitano comunque i pm milanesi a chiedere alla Nigeria di riformulare le proprie lettere di convocazione, per evitare che sembrino «fuorvianti».