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 2019  gennaio 10 Giovedì calendario

Un secolo in tuta

Le fashion victim la chiamano «jumpsuit» e la indossano con le sneakers o il tacco a stiletto, ma che sia da ginnastica o militare, spaziale o da lavoro, è comunque una tuta. Ed è così da 100 anni. A immaginare «un abito universale, che veste tutta la persona, dà completo agio di movimento e senso di risparmio di energia», un italiano: Ernesto Henry Michahelles, in arte Thayaht, che nel 1919 si aggira per Firenze con la sua creazione rivoluzionaria. Per disegnare la TuTa si ispira ai concetti del Vestito Antineutrale del Futurismo formulati da Giacomo Balla contro la moda borghese, costosa, noiosa e decadente. Una combinazione nuova e liberatoria, da indossare tutti i giorni: camicia, giacca e pantaloni in un unico capo. 
Un solo pezzo di stoffa
Padre di origini tedesche naturalizzato svizzero e madre angloamericana, Thayaht è un artista eclettico. Si muove fra design, scultura, pittura e oreficeria, Art Déco e avanguardia futurista, lavora come stilista per Madeleine Vionnet: per molti si deve a lui l’origine del Made in Italy. Sulle sponde dell’Arno, con il fratello Ruggero Alfredo, che si firma Ram, disegna un modello a forma di T, tagliato da una sola pezza di stoffa di 4,70 x 0,70 metri poco costosa, cotone o tela d’Africa, senza sfridi e col minimo di cuciture, sette bottoni e una cintura. I divertenti e originali schizzi preparatori fanno parte della collezione di Palazzo Pitti. Lo slogan è «tutti in TuTa», giocando sull’assonanza e sulla forma dell’abito. In estate lui la esibisce a Marina di Pietrasanta, con cappello di paglia e «sandali di Firenze» o «sandali Giglio», quelli con gli occhi indossati da future generazioni di bambini. Anche loro disegnati da Thayaht. L’anno dopo il quotidiano «La Nazione» con allegato il cartamodello in velina e le istruzioni per farsela da sé e a Firenze compaiono i «tutisti», sfoggiando quella che, immaginata popolare, diventa quasi una divisa delle serate di gala dell’aristocrazia, protagonista di un iconico ballo a Palazzo Rucellai dove gli invitati arrivano «tutti rigorosamente in tuta, con o senza camicia Robespierre». Poi arriverà la «BiTuTa», in due pezzi, antesignana di quella da ginnastica. 
Gli stilisti 
Prima della «Varst» costruttivista di Rodchenko e di sua moglie Varvara Stepanova, autori dell’abito proletario dell’uomo nuovo, lanciata in Russia nel 1923. Prima della «shelter-suit» degli anni Trenta ispirata all’uniforme degli aviatori di Elsa Schiaparelli, origini piemontesi e atelier in place Vendôme, con punto vita e caviglie segnate, da portare con mini-bag a tracolla. Prima delle «siren-suit» indossate sopra il completo da Winston Churchill appena suonava il segnale di un bombardamento, per scendere nei rifugi antiaerei. L’intuizione della tuta di Thayaht ritorna negli nelle collezioni degli stilisti di ogni epoca. Celebre quella con pantalone a zampa firmata da Valentino negli Anni 60, quando Helmut Newton ne immortala una tutta d’oro diventata un must; nel 1970 Yves Saint Laurent è il primo a farla salire in passerella. Nel tempo ha vestito attrici, da Greta Garbo a Audrey Hepburn, dalle Charlie’s Angels a Uma Thurman, l’eroina di Hunger Games Jennifer Lawrence. Amata anche dalle rock star: Elvis Presley, con quella a zampa d’elefante e mantellina e David Bowie nei panni di Ziggy Stardust, gli scacchi di Mick Jagger e i rombi di Freddie Mercury, uno dietro l’altro, fanno epoca indossando capi eccentrici, sempre più aderenti e scintillanti di paillettes. Fra le donne, Madonna sfoggia una tuta-smoking firmata Dolce & Gabbana, Britney Spears un improbabile modello in latex rosso. 
Tutti sportivi
Oggi che il termine tuta è usato perlopiù per definire l’indumento da ginnastica, pantalone e giacca con lo zip, il look è stato sdoganato in ogni situazione, anzi è trendy. L’athleisure (da athletic, sportivo, e leisure, tempo libero), è la tendenza sempre più in voga a portare nella vita di tutti i giorni capi nati per la palestra o il jogging, magari con un tocco glam, ha convertito al genere brand di lusso o rivitalizzato marchi storici. Ma anche l’idea originale di un abito in pezzo solo, dopo il revival degli Anni 80, è tornato da qualche stagione a fare moda. I fiori di Stella McCartney, la multi tasche di Givenchy, glitter e monospalla per Vivienne Westwood, in seta scozzese di Prada, quasi una seconda pelle da Dior. Elegante o casual-chic, «jumpsuit», con pantalone lungo, «playsuit» o «micro jumpsuit», con short, impossibile non averne una, firmata o low cost da sfoggiare in ogni occasione. Provare vale la pena. Oggi come allora promette di essere facile da indossare e abbinare. Dona a ogni tipo di donna, slancia la figura, armonizza le forme. Centenaria e intramontabile.