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 2019  gennaio 10 Giovedì calendario

Sono più i messicani che rientrano di quelli in partenza

L’ossessione del Muro, più alto, più lungo. Fake news (di Trump) e fake fear (dei messicani), notizie false e finta paura, pervadono poco la società a sud del Rio Bravo: il Messico del neopresidente Andres Manuel Lopez Obrador (Amlo) affronta una stagione di incognite con la paradossale consapevolezza di non essere “il problema” : il saldo migratorio tra Messico e Stati Uniti è negativo. Sono più i messicani che rientrano dal (non) Eldorado americano di quelli che cercano di entrarvi. I tweet di Trump e il Muro non appassionano più gli epigoni degli aztechi. 
I migranti sono “di passaggio”, in Messico. Prevalentemente centroamericani provenienti da Guatemala, Honduras, Nicaragua, El Salvador, Costa Rica, Panama e Belize. Sono questi i Paesi da cui partono i “senza niente” in cerca di un futuro affidato, dietro a un lauto compenso, ai coyotes, i trafficanti di uomini. La somma degli abitanti centroamericani è inferiore ai 48 milioni e di questi sono circa 200mila quelli che ogni anno attraversano il Messico e cercano di raggiungere gli Stati Uniti. 
Un tema, quello dei migrantes, che certamente coinvolge il governo di Amlo ma che in verità non è in cima alle priorità economico-finanziarie né dell’Amministrazione Trump, né di quella messicana. «Quello migratorio è il tema più facile – spiega Simone Lucatello, ricercatore all’Istituto Mora di Città del Messico – da utilizzare e brandire per la propaganda politica interna, quello capace di far lievitare i consensi a favore di The Donald. I messicani lo sanno. È il narcotraffico il nodo vero». 
In effetti vari studi rivelano che con un investimento di poco superiore ai 50 miliardi di dollari sarebbe possibile risolvere il problema dei migranti centroamericani. Si tratta di un flusso molto contenuto, irrisorio, se confrontato con quello africano orientato verso le coste italiane; lì vi sono decine di milioni di potenziali migranti.
Ai confini meridionali del Messico, solo una percentuale irrisoria. «Ecco perché – ne è convinto José Luis Rhi-Sausi, segretario socioeconomico dell’Iila, Istituto italo latinoamericano – quella del Muro è una distorsione dialettica. L’attenzione, oltre che sul tema narcotraffico, è centrata sul nuovo modello economico che si potrebbe prefigurare per il Messico: la cancellazione del Nafta (Unione doganale tra Stati Uniti, Messico e Canada) apre incognite ma anche opportunità per ripensare le modalità di sviluppo del Paese. 
Il narcotraffico rimane quindi il nodo più intricato. Uno studio pubblicato da Cecilia Gonzales, nel suo libro “Storia segreta dei narcos”, edito da Newton Compton editori, rivela che il 65% dei profitti dei cartelli messicani proviene dalla droga rivenduta negli altri Paesi e in particolar modo proprio in Nord America, il mercato di sbocco più lucroso. 
Vero. Gli inca masticavano le foglie di coca per mitigare gli effetti dell’altitudine ma già migliaia di anni fa c’era chi metteva in guardia i consumatori sulle conseguenze del consumo. Un papiro egiziano del 2000 a.C. recita: «Ti proibisco di entrare in questa taverna in uno stato degradato simile a quello delle bestie».