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 2019  gennaio 10 Giovedì calendario

Tremila bambini non riconosciuti ogni anno

Su 550mila bambini, sono circa 400 ogni anno quelli rifiutati alla nascita e per questo abbandonati negli ospedali della nostra penisola. Nel 62,5% si tratta di figli di donne straniere, che scelgono il parto segreto, ossia in anonimato, previsto dal Dpr 369 del 2000: mettono al mondo il piccolo in clinica e poi lo affidano al Tribunale dei minori, che avvierà le procedure per l’adozione, garantendo il prima possibile al neonato una famiglia che lo accolga con amore. Le madri torneranno a casa senza il loro bimbo, ma almeno quest’ultimo sarà al sicuro. Il dato allarmante riguarda invece i parti che non rientrano in questa procedura, ossia quelli clandestini, che non avvengono all’interno delle strutture ospedaliere, cui può seguire l’abbandono. Secondo una statistica della Società Italiana di Neonatologia risalente al 2012, i neonati non riconosciuti, i cosiddetti figli di “enne enne” (genitore che non intende essere nominato), sarebbero addirittura 3.000 ogni 12 mesi, nel 73% dei casi le madri sono italiane, per il resto straniere, soprattutto tra i 20 ed i 40 anni. 

NASCITE SPERICOLATE
Soltanto 400 di questi infanti a cui è negata persino la prima carezza o la prima poppata vengono lasciati negli ospedali in cui nascono. Inevitabile chiedersi cosa ne sia degli altri 2600. Non di rado essi sono partoriti in casa con tutti i rischi che ne derivano sia per la mamma che per il bimbo, vengono uccisi o infilati in buste di plastica, avvolti in stracci, e poggiati sul marciapiede, o nelle aiuole, o addirittura accanto ai cassonetti dell’immondizia, con la speranza che qualche passante si accorga della loro presenza. Purtroppo, non è difficile che ciò accada quando ormai è troppo tardi, ossia allorché lo stato di salute è ormai compromesso in modo irreversibile o il piccolo si è già spento dopo pianti disperati e terribili patimenti. Come è accaduto lo scorso agosto a Terni, dove un neonato senza vita è stato trovato dentro una busta di plastica nel parcheggio attiguo ad un supermercato. L’autopsia ha accertato che il bebè, il quale aveva ancora attaccata la placenta ed è deceduto per asfissia, era vivo nel momento in cui è stato posto sul terreno dalla sua mamma, una ventisettenne in condizioni di disagio economico e già madre di una bambina di 2 anni. La donna ha raccontato di avere nascosto al compagno la gravidanza e di avere partorito nel bagno di casa, senza alcun tipo di assistenza. Subito dopo la giovane ha chiuso nel portabagagli della sua auto il figlio e si è recata con l’uomo a fare la spesa. Una sorte meno spietata è toccata al bimbo di due mesi abbandonato presso l’ospedale Giovanni XXIII di Bari nel novembre scorso, probabilmente per via della malattia metabolica e dei problemi cardiaci che gli sono stati diagnosticati fin dalla nascita e che per la coppia di romeni che lo ha messo al mondo avrebbero richiesto un impegno economico non sostenibile. È stato gettato in un vicolo del pieno centro di Brescia, avvolto in una copertina azzurra, a maggio scorso un infante di pochi giorni. La madre è stata subito individuata dalla polizia grazie ad alcuni indizi e all’analisi dei filmati delle telecamere di sorveglianza. Si tratta di una signora marocchina di 42 anni, mamma di altri 5 figli. Non solo per strada o nelle cliniche, proprio come accadeva in passato, i neonati vengono depositati anche nella cosiddetta “ruota della vita”, ripristinata in alcuni conventi, come quello di San Francesco da Paola, a Monopoli (Bari), dove a febbraio scorso un bimbetto di 3 o 4 giorni è stato affidato alle cure dei frati.

LE “CULLE PER LA VITA”
La ruota era stata riattivata solo due mesi prima in seguito al trapasso di una neonata adagiata al suolo, morta per il freddo e la fame. Per evitare epiloghi di questo tipo, sono state create le “culle per la vita”, versione moderna della medievale “ruota degli esposti”. Si tratta di una struttura concepita proprio per consentire alle genitrici in difficoltà di lasciare i neonati senza rischi per la loro incolumità e in assoluto anonimato. Le culle, sparse su tutto il territorio nazionale, sono dotate di riscaldamento e chiusure di sicurezza, inoltre il presidio è controllato 24 ore su 24. Non possiamo conoscere e giudicare i motivi che spingano una madre a rifiutare il piccolo che ha portato in grembo per nove mesi. Non vi è dubbio che si tratti di una scelta dolorosa. E nessuno ha il diritto di metterci il becco. Tuttavia risulta deplorevole ed inaccettabile che i bambini vengano buttati via come fossero roba vecchia proprio nel momento in cui sono più delicati e inermi, ossia alla nascita, invece che essere consegnati nelle mani di chi potrebbe proteggerli. Basterebbe che le donne ricorressero di più a quegli strumenti, pure previsti dalla legge, come il parto in anonimato in ospedale, volti a tutelare la vita di mamma e neonato. Inoltre, stupisce che signori e signore del nuovo millennio non abbiano ancora capito che per evitare gravidanze indesiderate basterebbe ricorrere all’uso del preservativo. Perché aborto, abbandono e infanticidio non sono misure anticoncezionali.