La Stampa, 10 gennaio 2019
Le conseguenze per l’Italia della crisi tedesca
Come si fa a non preoccuparsi? Lo scorso novembre, per il terzo mese consecutivo la produzione industriale della Germania ha segnato una caduta. Se la locomotiva industriale tedesca si ferma sono guai per tutta Europa, ma in particolare potrebbero essere guai per le nostre imprese, che tanto lavorano con la Germania. Ci dobbiamo aspettare il peggio?
I numeri ce li descrive Andrea Montanino, chief economist di Confindustria. Le esportazioni tedesche rappresentano addirittura il 46% del Pil della Germania; l’Italia, che è il secondo paese al mondo come peso dell’export sul Pil, è intorno al 30%. Il guaio è che la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia: nel 2017 abbiamo venduto ai tedeschi la bellezza di 56 miliardi di euro di merci, ovvero il 12,6% del nostro export. «E dunque – spiega Montanino – un rallentamento dell’economia tedesca si ripercuote immediatamente in un rallentamento del nostro export, che consiste soprattutto in beni intermedi di investimento, che entrano nelle catena produttiva tedesca». Dunque, i settori produttivi dell’economia italiana più colpiti da questa frenata dovrebbero essere quello dei macchinari, le automobili e i loro componenti, i metalli e i prodotti chimici. Ovvero, metà del nostro export nel paese di Merkel sarebbe colpito direttamente e indirettamente. «Ovviamente bisogna vedere se è un rallentamento strutturale o momentaneo – ragiona l’economista di Confindustria – molto ha pesato la frenata della produzione di auto, dovuta al cambiamento degli standard sulle emissioni». Le conseguenze per l’economia italiana? «Ora è difficile dirlo; certamente è un problema che si aggiunge a quelli già noti con cui avrà a che fare nel 2019 la nostra economia».
L’analisi di Stefania Trenti, responsabile Ufficio Industry Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, è molto prudente. «La Germania è il nostro principale partner – spiega l’economista – ma suggerisco un po’ di cautela nel lanciare un allarme: il dato di novembre sulla produzione industriale è molto negativo, ma si spiega con il problema dell’automotive e con un novembre 2017 che fu particolarmente buono. Anzi, gli ultimi dati disponibili dell’export italiano in Germania – ottobre 2018 – sono molto favorevoli: per il manifatturiero c’è un +9,9%. Detto questo, l’effetto sulla filiera italiana dell’automotive, della componentistica, della gomma plastica, delle vernici, del vetro è certamente prevedibile per l’intreccio delle catene globali del valore». Dunque, è prematuro lanciare l’allarme, perché non ci saranno effetti immediati e istantanei, che per ora non si avvertono. «Bisogna aspettare un po’ per preoccuparsi. Io non voglio sminuire – analizza Trenti – certo, ci fosse una diminuzione davvero forte della produzione industriale della Germania, l’impatto sulla situazione economica italiana sarebbe devastante. La piattaforma produttiva europea è fortemente integrata, dall’auto all’elettrotecnica alla moda. Se un ingranaggio comincia a girare male, le conseguenze su avvertono ovunque. Ma prima di parlare di recessione serve qualche dato negativo in più. E per adesso, sul versante italiano dell’export in Germania, conseguenze non ne vediamo».
Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, la società pubblica che assicura l’export italiano, è ancora più cauto. «È un dato importante – afferma – che ha colto di sorpresa tutti gli analisti. È scontato che se la produzione industriale tedesca va in negativo noi ne risentiamo. Ma io vedo più un rallentamento del Pil della Germania nell’ultimo trimestre del 2018 che l’avvio di una vera profonda e duratura recessione». Per l’esperto di Sace, il ciclo europeo si sta deteriorando, subendo il rallentamento della domanda internazionale: «Ci sarà una revisione al ribasso della crescita – dice – che comunque avrà il segno più». Anche perché accanto ad alcuni dati molto negativi, altri dati come quelli degli ordinativi delle imprese sono più confortanti. Insomma, «una recessione imminente e duratura non è alle viste secondo noi. C’è molta volatilità, si pensa che gli Stati Uniti possano entrare in recessione nel 2020, dopo un ciclo positivo lungo che è ormai maturo. Certo, è ancora presto per dare una sentenza definitiva. Anche se i segnali negativi del nostro primo partner commerciale non fanno certo piacere».