La Stampa, 10 gennaio 2019
La Germania in crisi
L’ultimo dato negativo in ordine di tempo è arrivato ieri dall’Ufficio federale di statistica Destatis, l’Istat tedesco. Nel mese di novembre le esportazioni dalla Germania sono calate dello 0,4% rispetto al mese precedente rimanendo invariate nell’arco di un intero anno. Nello stesso periodo il surplus commerciale della Germania è calato da 23,8 a 20,5 miliardi di euro. Un settore così fondamentale per l’industria tedesca come quello dell’export è quindi vicino alla stagnazione.
«L’epoca delle vacche grasse è finita» aveva del resto dichiarato già sabato scorso il Ministro delle finanze Olaf Scholz in un’intervista con il settimanale Der Spiegel annunciando per l’anno appena incominciato una flessione all’ingiù delle entrate per il fisco tedesco e per la prima volta da sei anni un bilancio pubblico non più in attivo. Il governo ha abbassato le sue previsioni di crescita del prodotto interno lordo dall’1,8 all’1,5% – al di sotto quindi della media europea fissata dalla Commissione intorno all 1,7%. Le previsioni del rinomato Istituto economico Ifo di Monaco di Baviera sono ancora più pessimistiche e contano in un incremento del Pil dell’1,1%.
«Saremo pure un popolo di fifoni che si terrorizzano al primo sussulto (la famosa «German Angst», la Paura tedesca, ndr), ma questa volta possiamo veramente dire che il bicchiere non è mezzo pieno, ma solo più mezzo vuoto», afferma laconico un analista dell’Istituto tedesco di ricerche economiche Diw. Dopo nove anni ininterrotti di forte crescita economica, di sempre nuovi record nel campo occupazionale, la locomotiva economica europea sta registrando una brusca frenata. Colpa delle tante incognite che gravano come una spada di Damocle sulla congiuntura mondiale e su quella europea e tedesca in modo particolare.
Dall’incognita legata agli effetti della Brexit sui mercati fino alla guerra dei dazi innescata dall’amministrazione statunitense di Donald Trump. A far tremare il Made in Germany tuttavia è soprattutto l’improvviso crollo degli utili e degli ordini delle principali case automobilistiche del paese. Audi, Mercedes Benz, Bmw o il gruppo Volkswagen sono alle prese con una diminuzione delle vendite in alcuni mercati chiave come quello cinese e asiatici tra il 20 e il 40%, la produzione viene ridotta. Nel segmento chiave per il futuro dell’intero settore come quello dei veicoli a trazione elettrica i costruttori tedeschi hanno perso definitivamente la leadership e in tema d’innovazione e tecnologia sono stati superati dalla Cina o dagli Stati Uniti», sostiene l’esperto automobilistico Ferdinand Dudenhöffer. E se un settore chiave come quello automobilistico – dal quale in Germania dipendono 800 mila posti di lavoro e ben il 60% della crescita del Pil nazionale – inizia a tossire, il rischio di contagio per il resto delle industrie tedesche è molto alto.
Il governo tedesco dal canto suo sta già correndo ai ripari e ha pronto, stando alle indiscrezioni anticipate dallo Spiegel – un piano d’emergenza. Per prevenire un’eventuale recessione e smorzare gli effetti di una forte contrazione del Pil, il ministro socialdemocratico alle Finanze e vice cancelliere Olaf Scholz punta a ingenti stimoli della congiuntura attraverso investimenti pubblici nelle infrastrutture del Paese. Gli interventi verrebbero adeguati a seconda della gravità della crisi e ammonterebbero da un minimo di 17 ad un massimo di 35 miliardi di euro. Già previsti e approvati dal Consiglio dei ministri sono sgravi fiscali per i cittadini e le imprese per un ammontare solo quest’anno di 15 miliardi di euro. Ironia della sorte si tratta proprio delle misure negate finora da Berlino a paesi in crisi come la Grecia o la stessa Italia in nome del sacro dogma della disciplina di bilancio e del rigore finanziario. Ma questa volta a rischiare la crisi è la Germania stessa e per Berlino i dogmi di ieri, come per incanto, non hanno più il peso di un tempo.