Corriere della Sera, 6 gennaio 2019
La potenza della fragile Russia
Il torpore delle vacanze d’inverno è stato interrotto giorni fa da un annuncio di Vladimir Putin. Il presidente russo l’ha definito «un bellissimo regalo al Paese per l’anno nuovo»: un missile che può trasportare testate nucleari, viaggia a venti volte la velocità del suono, è in grado di eseguire manovre in volo e in un test ha centrato un bersaglio a 6.400 chilometri.
Sono performance da grande potenza, quale la Russia è. Ha un arsenale atomico in grado di annientare qualunque nemico, è il primo fornitore di gas all’Europa, ha un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ciò che è sempre meno chiaro è però quanto sia permanente il modello putiniano, basato sulla proiezione della forza all’estero, la soppressione del dissenso interno, l’arricchimento di pochi fedelissimi e l’interferenza digitale nelle democrazie occidentali. Sulla stabilità di un sistema del genere, non esistono certezze. Solo dubbi crescenti.
Poco prima dell’annuncio sulla nuova arma, sui media russi aveva trovato meno spazio l’ultimo sondaggio Levada: quasi due terzi dei russi ritengono Putin responsabile dei problemi del Paese; è il dato peggiore da quando nel 2008 è partita questa serie di sondaggi. La causa prossima resta la riforma delle pensioni, in stile Elsa Fornero, che il Cremlino ha cercato di far passare un po’ alla chetichella in piena euforia popolare per i Mondiali di calcio in Russia.
Per capire quali siano i problemi per l’opinione pubblica e quanto rischi di allargarsi l’incrinatura fra Putin e i suoi elettori, quella riforma va vista però nel contesto che l’ha resa inevitabile. La Russia oggi è un caso a sé: una superpotenza temuta nel mondo e in condizioni terribili nei suoi confini. E non solo perché la produttività del lavoro stia crollando dal 2014. O perché sia in calo costante dal 2013 anche il prodotto interno lordo per abitante stimato dal centro studi Ocse in parità di potere d’acquisto, cioè per quanto ciascuno in media può permettersi grazie alla ricchezza generata nel Paese.
Anche indizi più granulari rivelano come il ventennio di Putin abbia tradito la speranza per cui i russi avevano accettato il ritiro incruento dalle loro colonie europee. Le maggioranze non hanno avuto più benessere personale in cambio di meno potere imperiale, non nella misura che sarebbe stata possibile. Lo Human Mortality Database mostra per esempio che la longevità dei russi è cresciuta in trent’anni di appena 17 mesi (a 70,9 anni), quella dei polacchi di sette anni: due popoli in condizioni simili e con la stessa speranza di vita una generazione fa oggi mostrano strutture profondamente diverse. E gli anni di Putin spiegano almeno parte di questa divaricazione dei destini.
È noto per esempio che l’Hiv sta dilagando in Russia in controtendenza con il resto del mondo: le nuove infezioni erano 25 mila all’anno quando Putin si insediò al Cremlino, sono quasi 40 mila oggi. Potrebbe essere la spia di condizioni di salute pubblica in peggioramento evidenti anche in altre dimensioni. Dal Duemila la popolazione è calata di due milioni di abitanti. Il tasso di suicidi è fra i più alti al mondo. La mortalità infantile in Russia è ormai quasi tripla rispetto all’Estonia, benché entrambe le Repubbliche fossero parte dell’Unione sovietica e dunque in condizioni simili trent’anni fa. Conta senz’altro anche l’impoverimento generale della popolazione, testimoniato da un crollo del consumo di proteine di qualità da carne di manzo o vitello: secondo l’Ocse, ciascun russo ne mangiava in media 14 chili l’anno dieci anni fa ma 10,7 chili nel 2017.
Le sanzioni dell’Occidente contro Mosca potrebbero aver accelerato il declino, ma pesa probabilmente di più un fattore interno al Paese: la concentrazione delle risorse nelle mani di pochi tipica di una cleptocrazia; un 1% di privilegiati controllava un terzo della ricchezza dieci anni fa, quasi la metà oggi. Sembra invece chiaro che l’arretramento sociale della Russia di Putin sia collegato a quanto si trova dietro quel missile «regalato» al Paese per l’anno nuovo. Con un’economia dell’ordine di grandezza di Belgio e Olanda messi insieme, giusto due terzi di quella italiana, tredici volte più piccola degli Stati Uniti o dell’Unione europea, Putin è costretto a dissanguare il bilancio pubblico e gli investimenti civili per mantenere livelli di spesa militare che gli permettano di proiettare nel mondo un’immagine di forza. Investe in difesa, in proporzione al reddito, più del doppio dei Paesi europei o della Cina e il 50% più degli Usa. Anche così Mosca ha un bilancio militare di meno della metà di Francia, Italia e Germania insieme, un terzo della Cina, un decimo rispetto ai 610 miliardi di dollari annui degli Stati Uniti.
Ogni anno, il sogno di grandezza globale di Putin impoverisce i russi. Se il Cremlino è un modello, resta da capire per quanto tempo ancora.