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 2019  gennaio 09 Mercoledì calendario

Intervista a Daniel Oren


Sul podio del teatro Regio mancava da oltre vent’anni, ma Daniel Oren è come non se ne fosse mai andato. Il direttore israeliano, una delle bacchette più rinomate a livello internazionale, al Regio si trova perfettamente a suo agio ed è legato a questo posto: «L’orchestra e il coro torinese rappresentano l’eccellenza. Credo sia una delle compagini migliori d’Europa, il livello è veramente alto ed è cresciuto nel tempo. La cosa che apprezzo è che i musicisti sono amalgamati, ho ritrovato persone con cui avevo lavorato che si sono mescolate ai giovani. La differenza la fa la passione che hanno per la musica, un sentimento e un rispetto presenti solo in Italia».
Dove lei arrivò giovanissimo.
«La prima volta fu nel 1976 e fu amore a prima vista. Qualche anno dopo mi fu affidata la direzione dell’Opera di Roma e per rimanere ho rifiutato molte offerte, non mi interessava stare a Parigi o Londra».
Cosa l’attraeva dell’Italia?
«La grande passione che gli italiani hanno per l’arte, l’amore per la musica e la conoscenza profonda delle persone. Mi rendevo conto che gli spettatori erano in grado di capire l’opera sin nelle pieghe più nascoste, conoscevano bene non solo la musica, ma anche le voci, sapevano giudicare alla perfezione. Non da ultimo sono rimasto folgorato dal cibo».
Ancora oggi il pubblico è preparato?
«Con i giovani la situazione è più difficile perché non c’è più un’educazione all’ascolto né da parte delle famiglie né a scuola né tantomeno in tv. In questo senso Puccini aiuta, è un autore che sa a catturare tutti».
Quale chiave d’ascolto darebbe per Madama Butterfly?
«Anzitutto suggerirei di lasciarsi trasportare dalla meravigliosa storia che può essere rilevante anche al giorno d’oggi, una storia d’amore, di tradimento e di delusione. Ha una portata storica perché evidenzia la lotta tra Occidente e Oriente, l’impatto che il primo ha avuto sul secondo. Puccini senza visitare il Giappone seppe cogliere tutto ciò racchiudendolo in una partitura incredibile. Ritengo sia il re dell’orchestrazione, ha inserito colori vivacissimi che mi affascinano. Se il pittore nella sua tavolozza ha milioni di colori a disposizione, i musicisti con Puccini ne hanno molti di più, specialmente con un’orchestra come quella del Regio. Assieme a loro io mi diverto a farli uscire per creare emozioni».
Uno dei punti salienti dell’opera è il «coro a bocca chiusa».
«È uno dei momenti più intensi mai scritti nella storia della musica. Senza usare una parola Puccini riesce a comunicare un’infinità di stati d’animo. È un momento che esprime grande dolore e credo sia veicolo di un messaggio più ampio e senza tempo destinato a tutte le persone che soffrono, ieri come oggi».
Come ha lavorato con gli artisti?
«Seguo molto sia i musicisti che i cantanti con i quali cerco di approfondire i personaggi, attingendo anche alla memoria storica. In questi ruoli abbiamo avuto interpreti importanti e io ho avuto la fortuna di lavorare con Raina Kabaivanska, la più celebre “Madama Butterfly” del secolo scorso. Lei mi ha insegnato tanto e cerco di portare la mia esperienza ai cantanti».

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