La Stampa, 9 gennaio 2019
L’incubo dei treni speciali per i tifosi
Era il 1999, esattamente venti anni fa. L’allora ministro dell’Interno, Rosa Russo Jervolino, vietava per decreto i treni speciali per tifosi. L’Italia in quei giorni era sotto choc per un evento terribile, appena accaduto: un treno di tifosi della Salernitana, rientrando da Piacenza, dopo avere segnato il percorso di violenze gratuite nelle stazioni di Firenze e di Napoli, finì in fiamme. Nel rogo morirono quattro giovani tifosi. Le indagini rivelarono che uno tra i più esaltati aveva dato fuoco ai poggiatesta e che in una galleria il fumo si era trasformato in un gas velenoso.
Ecco, esattamente venti anni dopo, nel 2019, il ministro dell’Interno Matteo Salvini pensa che sia meglio tornare ai treni speciali per tifosi piuttosto che permettere le trasferte fai-da-te che si stanno rivelando un rimedio peggiore del male. «Sono più controllabili mille tifosi in un treno di cento minivan che arrivano in città da tutte le parti», ha spiegato al termine di una riunione dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive. Meglio ancora, poi, se una partita «difficile» si svolge alla luce del sole.
L’idea viene da esperienze straniere. Diversi paesi europei, anch’essi alle prese con il fenomeno degli hooligans, hanno imposto alle trasferte delle tifoserie un regime super-organizzato: devono acquistare assieme i biglietti del treno e dello stadio. I treni vengono concordati tra tifoserie organizzate e società ferroviarie, con referenti bene individuati, e sotto la vigilanza della polizia. «Può essere un modo di responsabilizzare i capi ultras, perché se qualcosa va storto saranno loro a pagare», spiegano al ministero.
Funzionerà? A scorrere le cronache passate, c’è da dubitarne. Quei treni erano letteralmente devastati dai tifosi, che sfogavano la loro rabbia sul convoglio prima ancora che sugli avversari. Particolarmente grave il caso, nel 1989, quando un tifoso del Bologna, Ivan Dall’Oglio, appena diciassettenne, rimase sfigurato da una molotov lanciata a Firenze contro il convoglio rossoblù. E capita ogni tanto che ci siano violenze spontanee. Nel 2008, i tifosi del Napoli distrussero un treno e seminarono il panico a Termini.
A Trenitalia, che all’epoca erano ancora Ferrovie dello Stato, non dimenticano quell’incubo. Era talmente un rituale la distruzione delle carrozze che i funzionari allestivano i treni con i vagoni da rottamare perché era scontata la devastazione. E se ora il ministero dell’Interno volesse ripetere quell’esperienza, sono pronti a contrattare i prezzi allo spasimo, vigilanza compresa. Per avere un’idea dei costi che si sostenevano all’epoca, nella stagione calcistica 1992/93 i danni subiti ammontarono a circa 3 miliardi e mezzo di lire, più di 1.200 gli atti vandalici.
Altra storia raccontano i treni-charter, ben collaudati negli ultimi anni. Qui le tifoserie perbene si autorganizzano, pagano un forfait per l’affitto del treno, nominano dei responsabili. Al Viminale pensano che sarà l’arma vincente. Pare che qualche sondaggio sia andato a buon fine. Lo stesso Salvini ha accennato ai colloqui «privati e informali» che ha avuto in questi giorni. Forse non è un caso, allora, se un capo storico di ultras quale il laziale Diabolik, al secolo Fabrizio Piscitelli, dice: «Siamo assolutamente favorevoli al ripristino del treno per i tifosi, ma a prezzi ragionevoli perché si rischia di pagare 70 euro un biglietto di sola andata per Milano. C’è differenza tra l’andare a fare il turista o per vedere la partita».