la Repubblica, 9 gennaio 2019
Case, auto, cuori: così stamperemo il futuro
La stampa 3D ha oggi una D in più: i progressi nella scienza dei materiali stanno infatti introducendo oggetti a 4D, vale a dire capaci di cambiare forma autonomamente in quella quarta dimensione che è il tempo. «Un grande vantaggio della stampa 3D è che ci stimola a immaginare e progettare prodotti e oggetti che abbiano geometrie del tutto nuove e più efficienti. Oggi possiamo per esempio rimpiazzare le bottiglie di plastica con contenitori stampati in 3D, a partire da materiali capaci di espandersi in presenza d’acqua e accartocciarsi in sua assenza», conferma Andrea Camposeo, ricercatore all’Istituto di Nanoscienze del Cnr. «Il prossimo traguardo sarà quello di materiali davvero smart, in grado di riconoscere la fine del proprio ciclo di vita e auto-degradarsi quando la loro funzione si è esaurita, limitando l’impatto sull’ambiente». Ambiente che certamente trarrà vantaggio dalla diffusione di massa delle stampanti 3D, in continuo calo di prezzo: l’autoproduzione degli oggetti quotidiani potrà ridurre la spedizione di prodotti da una parte all’altra del mondo e le relative emissioni.
Tutta questa rivoluzione parte da un disegno digitale: «Può essere creato da zero dal progettista o ottenuto scansionando un oggetto reale. I software di stampa 3D lo dividono in sottilissime fettine orizzontali che corrispondono agli strati di materiale che verrà depositato dalla testina della stampante» spiega Marinella Levi, docente di ingegneria dei materiali al Politecnico di Milano. «Si può ricreare qualsiasi forma affrancandosi del tutto dai vincoli degli stampi industriali». «Permettendo di produrre oggetti con forme e geometrie impossibili per le tecniche di produzione convenzionali, la stampa 3D apre nuove opportunità per settori come la meccanica, l’aeronautica, l’ingegneria civile, la medicina» aggiunge Camposeo. «Se si ripensano i manufatti in un’ottica di produzione con stampa 3D, in molti casi è possibile ridurre le materie prime utilizzate e migliorare le prestazioni».
E ormai sembra non esserci limite a ciò che si può stampare in 3D: «Lo scorso ottobre a Massa Lombarda ( Forlì) è stata stampata per la prima volta al mondo, dalla ditta Wasp ( World advanced saving project) dell’inventore Massimo Moretti, una casa in argilla del tutto funzionante, con impianti elettrici, finestre e tutto. In due settimane. «Moretti vuole usare queste stampanti per produrre abitazioni dal costo di poche centinaia di euro» spiega Marinella Levi. «Come rinforzo per le pareti si è usato uno scarto della lavorazione del riso: la stampa 3D facilita il riciclo, e quindi aiuta l’ambiente. Un altro esempio è il progetto europeo FiberEUse, che prevede di polverizzare le pale eoliche arrivate a fine vita e usare la polvere di vetroresina nelle stampanti per rinforzare i materiali. Per esempio con una startup del Politecnico, Moi Composites, abbiamo brevettato un processo robotico per stampare fibre lunghe di vetroresina che ci consentirà di mettere in acqua quest’estate la prima barca stampata in 3D».
L’Italia, del resto, è all’avanguardia sui materiali “smart” stampati in 3D. La pugliese Roboze, per esempio, ha realizzato un materiale di stampa, detto” Carbon PA”, un nylon rinforzato al 20% con fibra di carbonio, che è il materiale plastico a più alta performance mondiale nel settore della stampa 3D. «È una plastica che ha le stesse proprietà dell’alluminio, ma pesa il 70% in meno» spiega Alessio Lorusso, Ceo di Roboze. «La usa, tra gli altri, Red Bull per la Formula 1. Prima della stampa 3D, per ogni modifica al design delle auto bisognava creare un nuovo stampo di metallo nel quale iniettare la materia plastica. Con costi e tempi notevoli: per ogni stampo metallico servono oltre cinque settimane. Mentre per produrre un pezzo di nuovo design con la nostra tecnologia bastano un paio d’ore. Questo permette ai progettisti di sbizzarrirsi e di sperimentare senza costi le varianti più disparate».
Una libertà di design che si applica a tutto: «Oggi si stampano protesi di ogni tipo e articolazioni dell’anca personalizzate secondo le lastre del paziente. Si producono corone e denti stampati in 3D, e la maggior parte degli apparecchi acustici fatti su misura. E avanza sempre più il bioprinting, ovvero la stampa in 3D di tessuto organico, usando un bioinchiostro ottenuto da una coltura delle cellule del paziente» spiega il futurista Christopher Barnatt, autore del saggio 3D printing. «Un giorno il bioprinting potrebbe addirittura permetterci di disegnare nuove parti per i nostri corpi: dai tatuaggi in tre dimensioni fino al redesign cosmetico dei volti».
Vanità a parte, gli orizzonti della biostampa 3D sono oggi molto ambiziosi: «Il traguardo finale sarebbe stampare interi organi e usarli per i trapianti, ma è lontano: quello che è più interessante è che oggi riusciamo a creare pezzetti (di pochi millimetri) di tessuti e organi che conservano la complessa architettura degli organi nativi. Sono miniorgani utilissimi per sperimentare terapie», spiega Paolo Netti, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia. «La stampa 3D ci permette di ricomporre fedelmente in provetta la struttura spaziale delle cellule del paziente, e quindi di avere le stesse risposte ai farmaci che la cellula darebbe in vivo, così i ricercatori traggono indicazioni più utili allo sviluppo delle terapie e in più possono sperimentare liberamente varie molecole sui miniorgani senza danneggiare il paziente». L’idea è partire dalle cellule del paziente e ricostruire un “minipaziente in provetta”, così tutto quello che si sperimenta ha come target quello specifico paziente. «Ma si aprono anche nuove possibilità terapeutiche, per esempio se un cuore è infartuato, si potrebbe stampare un” cerotto”, contenente le cellule del paziente, che vada a riparare la parte di tessuto danneggiata. È la medicina personalizzata», spiega Carmelo De Maria, ricercatore del centro Enrico Piaggio dell’Università di Pisa. «Un altro tipo di personalizzazione è quella delle protesi stampate in 3D partendo dai dati del paziente acquisiti tramite Tac o risonanza. Immaginiamo un grosso difetto osseo, magari una persona a cui manca parte della calotta cranica perché ha subito un trauma. Si può ricostruire con precisione la parte mancante tramite scansione del cranio e poi stamparla».
Il bioprinting, inoltre, renderà certi farmaci più accessibili: «Oggi per portare una nuova molecola sul mercato occorrono 15 anni e un miliardo di dollari di investimento», sottolinea Netti. «Questo perché i test sulle cellule in vitro e sugli animali sono spesso inaffidabili. La stampa 3D permette di abbattere il costo dei test e ridurre a pochi anni il tempo di sviluppo, abbassando quindi il prezzo dei farmaci». Oggi all’Iit si riescono a stampare pezzi di fegato, cuore, cervello e intestino lunghi 5- 6 millimetri, e interi fogli A4 di pelle umana che tra 5-10 anni, finiti i test clinici, potranno servire a ustionati e a chi ha malattie cutanee. E ai produttori di cosmetici per testare i loro prodotti senza ricorrere agli animali. Visto, si stampi.