9 gennaio 2019
Tags : Francesca Piccinini
Biografia di Francesca Piccinini
Francesca Piccinini, nata a Massa (Massa-Carrara) il 10 gennaio 1979 (40 anni). Pallavolista, di ruolo schiacciatrice. Tra i numerosi trofei conquistati in carriera, cinque scudetti (quattro con il Volley Bergamo e uno con l’Agil Volley), sei Coppe dei campioni (cinque con il Volley Bergamo e una con il Volleyball Casalmaggiore), tre Coppe Italia (due con il Volley Bergamo e una con l’Agil Volley); con la Nazionale maggiore, un campionato mondiale (2002), un campionato europeo (2009), una coppa del mondo (2007) e una Gran Champions Cup (2009). «La “Picci” ha fatto davvero tutto. È la giocatrice più rappresentativa che la pallavolo abbia mai prodotto. Ha scritto un libro, posato per un calendario, fatto da testimonial alla campagna contro il tumore al collo dell’utero, sfilato in passerella e, giovanissima, fu la prima a indossare la maglia di una squadra brasiliana. Non smettendo mai di vincere» (Eleonora Cozzari). «Vincere è sempre bellissimo, e io sono nata per questo» • Originaria di Castagnola di Sopra, frazione di Massa. «“È in alto, come dice il nome. Sulla strada per il cimitero”. […] Da che famiglia proviene? "Una famiglia molto unita, a cui devo molta riconoscenza. Un giorno mia madre m’ha detto che in pratica sono stata allevata al telefono, educata al telefono, cresciuta al telefono. Mio padre Roberto, caporeparto in una fabbrica di mattoni. Mia madre Almarella, trent’anni alla Esselunga, ma negli uffici, non alle casse”. […] Com’è arrivata alla pallavolo? "Provando prima alcuni sport in cui non mi sono sentita a mio agio, e nemmeno divertita. Danza, nuoto, pattinaggio, equitazione: tutti sport individuali. Forse era scritto che mi adattassi meglio a uno sport di squadra. Ci ha provato anche mia sorella Chiara: giocava da palleggiatrice, ma non le piaceva granché. […] Come per molte della mia generazione, la spinta ad amare il volley è nata dai cartoni animati giapponesi di Mila e Shiro: sognavo di andare a giocare in Giappone"» (Gianni Mura). «Per Francesca Piccinini, un metro e ottantacinque, […] il volley è sempre stato qualcosa di più di uno sport. È stato un porto. L’approdo sicuro di una bambina che alle elementari era alta come la maestra. “Me ne facevo un complesso. Mi sentivo diversa. Con la pallavolo ero finalmente in mezzo a ragazze alte come me”. […] “A otto anni giocavo in una squadretta di parrocchia, il San Carlo Borromeo. A tredici ero nella Nazionale juniores. Mai un weekend libero: sabato gli allenamenti, domenica la partita. Mai una gita con la scuola, una festa, un compleanno. Le altre in spiaggia, io in campo. A quattordici anni ho debuttato in Serie A, l’unica giocatrice italiana a esserci arrivata così presto”» (Giovanni Malagò e Nicoletta Melone). «Il 7 novembre 1993 la giocatrice […] debuttava nella massima serie di pallavolo femminile con la maglia della Carrarese, a pochi chilometri dalla sua città natale, Massa. Aveva 14 anni, e di fronte nientemeno che l’Olimpia Ravenna, squadra storica del volley italiano. Quel giorno nasceva una stella del volley italiano femminile, una giocatrice che avrebbe dominato la scena non solo a livello di Serie A1, ma anche in campo europeo e mondiale. Nel 1995, il debutto in Nazionale» (Marco Piatti). «Ho fatto qualche stupidaggine. Vivevo da sola, ero un po’ pazzerella, non c’era la mamma che mi stava addosso, così mi sono limitata a finire il terzo anno del liceo artistico». Dopo i primi successi (una Supercoppa europea e una Coppa delle coppe con il Volley Modena, la medaglia d’oro ai campionati europei del 1996 con la Nazionale Under-19 e quella d’argento ai mondiali del 1997 con l’Under-20), «a 18 anni mi ritrovo in Brasile. Al Paranà di Curitiba: Bernardinho mi voleva a tutti i costi. […] Le brasiliane mi accolsero bene, mi accettarono, anche perché non ero e non sono una piantagrane. Livello tecnico altissimo. Otto ore al giorno di allenamento. Arrivammo seconde. Mi chiesero di restare, ma mi era venuta la saudade al contrario. Niente cellulare, comunicazioni telefoniche intermittenti, faticose e soprattutto carissime: così in famiglia eravamo tornati a scriverci lettere, sistema più romantico ma più lento». «Le esigenze della Nazionale (in ballo c’erano le qualificazioni olimpiche) mi avrebbero costretta a fare avanti e indietro dal Brasile all’Italia per più di due mesi. Non era la situazione ideale. Ho dovuto scegliere tra il Brasile e i Giochi di Sydney con la Nazionale. Visto che per la prima volta il volley italiano femminile ha preso parte all’Olimpiade, credo di avere azzeccato la scelta». Tornata in Italia, «nella stagione 1999/2000 viene ingaggiata dal Volley Bergamo, dove è rimasta per 13 anni, vincendo quattro scudetti, due Coppe Italia, tre Supercoppe italiane, cinque Champions League e una Coppa delle coppe. Anche con la Nazionale ha ottenuto tantissimi successi, dai Giochi del Mediterraneo al Mondiale del 2002, dalla Coppa del mondo 2007 al campionato Europeo e alla Grand Champions Cup nel 2009» (Francesca Monti). Dopo un’infelice stagione al Chieri Torino Volley Club (in quanto la società era all’epoca sull’orlo del fallimento), tornò nel 2013 a Modena, nella neonata LJ Volley, per passare due anni dopo alla Volleyball Casalmaggiore, guadagnando alla formazione cremonese Supercoppa e Coppa dei campioni. «È una delle cantastorie della favola Casalmaggiore, la Piccinini. A 37 anni si è sbranata la sua sesta Champions League, col club meno blasonato in cui abbia mai giocato, e il più piccolo che abbia mai conquistato l’Europa col volley. Sei anni dopo l’ultima italiana, Bergamo, con la quale ha vinto gli altri 5 trofei» (Alessandra Retico). Dal 2016 la Piccinini milita nell’Agil Volley di Novara, squadra cui ha contribuito a far ottenere nella stagione 2016/2017 il primo storico scudetto, e in quella successiva la Supercoppa italiana e la Coppa Italia. Nell’ottobre 2018 ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi al termine della stagione 2018/2019. «Un feeling, quello tra Francesca e Novara, che si è instaurato in fretta ed ha raggiunto gli apici, tanto da farla tentennare sul suo possibile ritiro dal volley giocato, annunciato, […] al termine di questa stagione» (Piatti) • Assai sofferto, nel maggio 2016, poco dopo aver raggiunto il traguardo delle cinquecento partite giocate in maglia azzurra, l’addio alla Nazionale maggiore, in seguito a divergenze con l’allenatore Marco Bonitta, contrario a portarla ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro. «Ricordo ancora il mio esordio: […] avevo 16 anni, e l’emozione unica di quel giorno sarà sempre viva nella mia memoria. Da allora ho vissuto un viaggio incredibile con tre generazioni di ragazze che come me hanno dato tutte se stesse alla Nazionale. […] L’ultima tappa della qualificazione olimpica in Giappone mi ha fatto capire che le scelte dell’allenatore, che rispetto ma non condivido, non corrispondono alle mie aspettative e a quanto penso di rappresentare. […] Ho maturato la scelta difficilissima di mettere la parola fine a questa bellissima avventura. Ogni volta che vedrò una partita della Nazionale sarò sempre la prima tifosa, perché chi ne ha fatto parte sa che l’emozione speciale di rappresentare il proprio Paese non potrà mai svanire» • Fidanzata. «Più che sposarmi, preferirei diventare madre» • Nel 2005 pubblicò presso Insigna l’autobiografia La melagrana. «Mi paragono io alla melagrana, un frutto che esclude la fretta. Non è una mela o una banana, che puoi mangiare anche camminando per strada. È un frutto che chiede calma e tempo. È dolce ma anche amaro, nella sottile membrana che avvolge i chicchi. Non va giudicato al primo impatto, superficialmente. È buonissimo, ma bisogna sapere come prenderlo» • Juventina • Un’araba fenice tatuata sulla schiena • «Non sono scaramantica. Lavoro duro: trovo le mie certezze nel sudore in palestra» • «Pochi vizi, vita sana. Dopo tanti anni, è il mio corpo a richiedere di allenarsi. Uso poco gli integratori, in partita bevo acqua. E sono una che mangia qualsiasi cosa, anche i dolci. […] Senza togliere niente, basta non esagerare». «Sono una specie di generale, troppo rigida e schematica. E a casa mia è tutto perfetto, forse troppo. Ogni tanto avrei la tentazione di buttare all’aria i miei armadi, provare a uscire dalle righe, ma non ci riesco. Così, per rilassarmi, di solito passo l’aspirapolvere o pulisco» (a Marina Speich). «Mi sfogo con la passione delle scarpe: tantissime, anche perché il mio numero 42 si trova male: finisce che le compro anche se mi stanno scomode, ma siccome faccio fatica a trovarle devo prenderle!» • «Nel cassetto ha ancora l’idea di terminare il liceo artistico? “Non è detto che non riesca a concluderlo. In fondo ci sono persone che si laureano in tarda età. Fino a qualche anno fa dipingevo: mi rilassava, e il mio riferimento era la pop art dai colori sgargianti. Adoro Andy Warhol”» (Marco Pedrazzini). «Tra gli artisti contemporanei ho un debole per Banksy e Pao» (a Nicoletta Pennati) • Privo di complessi il rapporto con il proprio corpo e la propria femminilità. «Mi ricordo che Playboy mi propose la copertina perché doveva rilanciarsi in una veste meno osé, e ho accettato volentieri, così come anche l’esperienza del calendario. Certo oggi a 40 anni non lo rifarei, ma allora erano altri tempi, ed è stato divertente. Io prima di tutto penso che una atleta non debba limitarsi a fare la sportiva: se si piace, perché no? A me piace sia che mi dicano brava per come gioco, sia che mi dicano bella, ci mancherebbe. Poi la Coppa del mondo non l’ho vinta certo per la bellezza, ma perché gioco bene a pallavolo. Sono una donna, e se dalle tribune, tra le varie cose, mi gridano “bella f…!” non mi offendo» • A proposito della presunta competizione come «reginette di bellezza» con Maurizia Cacciatori, a lungo propalata dalle cronache: «Quante risate ci siamo fatte io e lei, tutt’e due di Carrara, su questa faccenda del sex symbol. Che poi, dico io, a essere belle non c’è merito: il merito semmai è dei genitori. A essere brave il merito c’è. E quindi secondo me finivamo pari: Maurizia certamente più bella di me, ma nel volley più brava io» • «La donna che creò un modello pallavolo, quando in Italia non c’era: fisico strepitoso. In campo, e pure fuori. Bellezza formato calendario e copertina» (Retico). «Alchemica combinazione di forza e avvenenza senza artifici» (Massimo Di Forti). «È raro che la pallavolo sforni delle celebrità, soprattutto se paragonate al calcio, ma Francesca Piccinini è richiesta dai magazine femminili per servizi fotografici, […] interviste […] e servizi televisivi. […] Si è cimentata in tv (alla conduzione di Colorado Café) e come stilista (Liu Jo Sport), ha posato per calendari (Men’s Health) e per buone cause. Insomma, Francesca Piccinini è attiva anche fuori dal campo di volley e non ha paura di reinventarsi, di sperimentare, di testare» (Giulia Mattioli) • «Keba Phipps era il mio idolo. Una giocatrice eccezionale. Una volta, ero una ragazzina, mi avvicinai a lei e timidamente le chiesi un autografo, e lei me lo rifiutò. Ci rimasi malissimo, e mi misi persino a piangere. Poi però mi sono vendicata… Dopo alcuni anni io e lei siamo diventate compagne di squadra a Bergamo, e allora le ricordai la cosa: “Sei stata proprio str…!”. E ci abbiamo riso su. E poi il massimo della vendetta fu il mondiale del 2002, quando io vinsi e lei no». «Quali sono le vittorie che hanno lasciato maggiormente il segno su di lei? “Tutte le prime volte, senz’altro. In primis il mondiale del 2002, poi i primi trofei agli inizi del mio cammino con Bergamo e, più di recente, la Champions League a Casalmaggiore, riportata in Italia dopo anni di dominio estero, e lo scudetto a Novara, che la città aspettava da quasi vent’anni. Ora è tempo di compiere qualche nuova impresa”. La sconfitta che le ha fatto più male? “Più che una partita in sé, mi ha fatto male non essere riuscita a conquistare il successo olimpico: è l’unico alloro che mi manca, e che manca, in generale, al volley italiano”» (Diego De Ponti). «Com’è oggi lo spogliatoio rispetto a 20 anni fa? “Non c’erano la musica, i telefonini, le stories. C’eravamo solo noi, si chiacchierava: parlare prima e dopo, condividere certi momenti sono belle soddisfazioni. La tecnologia aiuta ed è comoda. Però a volte bisogna lasciare il telefonino da parte e comunicare. La cosa bella è crescere insieme, e non col telefono, che è una cosa in più. Utile per restare in contatto con tante amiche in giro per il mondo, ma le persone vicine è meglio viverle”. […] Ha fatto esperienze al cinema e in tv. È quello che vede dopo il volley? “Sicuramente, se avrò proposte, le valuterò. Quando le ho avute, le ho prese e mi sono divertita tantissimo. Come in tutte le cose, bisogna imparare e lavorare per fare bene. Non chiudo le porte a niente: se avrò di nuovo la possibilità, la coglierò al volo”. […] L’impegno in consiglio federale è una prova generale per la politica? “No, no. Oggi la mia priorità è fare l’atleta, riesco solo di rado ad andare, ma un domani cercherò di fare qualcosa per il nostro sport. La politica? In Italia siamo un po’ messi male. Mi piace molto Salvini: fa quello che dice, e spesso e volentieri non capitava. Spero che ci sia un cambio di rotta nel nostro Paese. Ho girato il mondo, e in Italia si sta come da nessuna parte: è un peccato farla rovinare da chi fa i propri interessi e non quelli dei cittadini”. […] Dietro la curva dei 40 anni cosa vede? “Una vita nuova: sono una ragazza che avrà tante idee e che non starà mai con le mani in mano, farà dell’altro. Sarà quella la vita vera”» (Giuseppe Nigro).